DIVORZIO:
Prima di affrontare l’argomento del divorzio, è bene parlare del concetto stesso di matrimonio. Fuor di metafora, possiamo dire che il primo sposalizio della storia, sia stato celebrato nei capitoli 1 e 2 del libro biblico della Genesi. E quindi, il rapporto matrimoniale tra un uomo e una donna, venne stabilito da Dio come istituzione fondamentale della società umana. In Genesi 2:24 è scritto: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne”.
L'articolo 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma:
“Uomini e donne in età adatta, hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all'atto del suo scioglimento. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”.
Inoltre, i sociologi distinguono tra matrimonio religioso e matrimonio civile, “protetto legalmente” dallo Stato, come abbiamo appena letto nella Dichiarazione sopra.
Entrando nel merito del divorzio, cerchiamo di analizzare etimologicamente il termine: esso deriva dall’espressione latina “divortium”, originata dal verbo “di-vertere”, ossia separarsi. Anche se agli Ebrei era consentito divorziare per vari motivi, Dio provvide a regolare il divorzio in seno alla Legge mosaica, donata ad Israele. Deuteronomio 24:1 dice: “ Quando un uomo sposa una donna che poi non vuole più, perché ha scoperto qualcosa di indecente a suo riguardo, le scriva un atto di ripudio, glielo metta in mano e la mandi via ”. Che cosa fosse quel “qualcosa di indecente” (letteralmente “la nuda verità di una cosa”) non è precisato. Tuttavia, che non si trattasse di adulterio lo si evince dal fatto che la legge donata da Dio a Israele, decretava che gli adulteri fossero messi a morte, e non semplicemente ripudiati. (Deuteronomio 22:22-24). Senza dubbio l’ “indecenza” che concedeva al marito la libertà di divorziare, riguardava questioni serie: probabilmenteuna grave mancanza di rispetto nei suoi confronti, o forse disonore recato alla famiglia. Dal momento che la Legge stabiliva il comando del “devi amare il tuo prossimo come te stesso”, non è ragionevole presumere che colpe di minore importanza, potessero essere usate impunemente come scuse per divorziare dalla propria donna. — Levitico 19:18.
Nella stipula del matrimonio tra Ebrei, l’uomo pagava un indennizzo al padre di colei che avrebbe dovuto prendere in moglie. Dopo tale atto, la sposa diventava di sua proprietà. Pur avendo molti privilegi, la figura femminile nell’unione coniugale, aveva un ruolo subordinato. Una simile realtà, è ulteriormente messa in risalto nel già citato Deuteronomio 24:1-4, dov’è indicato che il marito avrebbe potuto divorziare dalla moglie, ma non viceversa. Essendo considerata di sua proprietà, non le era concesso chiedere il divorzio.
Nella storia secolare d’Israele, il primo caso di una donna che cercò di divorziare fu quello di Salomè, sorella del re Erode. Essa inviò al marito, Erode Filippo, un certificato di divorzio al fine di sciogliere il loro matrimonio. (Giuseppe Flavio, in Antichità giudaiche, XV, 259) Ma in cosa consisteva il certificato di divorzio, di cui parla il libro riassuntivo del Deuteronomio? Ebbene, per indicare tale documento divorzile, la lingua ebraica usa la parola ghet . Storicamente, la presentazione di un ghet che fosse religiosamente valido poneva fine a doveri e diritti coniugali.
A motivo degli abusi avvenuti in seguito, non si deve concludere che la concessione del divorzio rendesse facile al marito, sciogliere il matrimonio. Per poter far questo, egli doveva osservare certe formalità: era necessario redigere un documento, “scriverle un certificato di ripudio” che avrebbe dovuto consegnarle personalmente, per “congedarla dalla sua casa” (Deuteronomio 24:1). Anche se le Scritture non forniscono ulteriori particolari al riguardo, sembra che una simile misura legale richiedesse la consulenza di uomini dovutamente autorizzati, i quali potevano tentare una riconciliazione, prima di avallare la cessazione del contratto matrimoniale. Il tempo necessario per preparare il certificato, che avrebbe condotto legalmente al divorzio, offriva al marito l’opportunità di rivedere la sua decisione. Vi doveva essere una ragione motivata per divorziare e, quando la norma era dovutamente contemplata, tutto ciò poteva servire a scoraggiare un’azione precipitosa. Inoltre, con questa procedura, erano tutelati anche i diritti e gli interessi della moglie.
Ad esempio, la legge rabbinica consentiva al marito di divorziare, per colpa della sterilità della donna. Tuttavia, le Scritture non concedono ai cristiani il diritto sciogliere il matrimonio per una ragione simile. La prolungata sterilità femminile, non indusse Abraamo a divorziare da Sara, Isacco a divorziare da Rebecca, Giacobbe a divorziare da Rachele o il sacerdote Zaccaria a divorziare da Elisabetta.
Nel Sermone del Monte, Gesù disse che “chiunque divorzia da sua moglie, se non a causa di fornicazione, la rende soggetta all’adulterio, e chiunque sposa una donna divorziata commette adulterio ” (Matteo 5:32). Con questo assunto, Cristo spiegò che se un uomo lascia la moglie per motivi diversi dalla “fornicazione” (pornèia) la espone a un futuro adulterio; e ciò perché la moglie non è libera di sposare un altro uomo, e avere rapporti sessuali con lui. Quando disse che chiunque “sposa una donna divorziata commette adulterio”, Cristo si riferiva a una donna divorziata per motivi diversi dalla “fornicazione” (pornèia). Un tale persona, pur essendo divorziata legalmente, non lo era scritturalmente.
Per cui, cercheremo di capire bene il significato della parola con cui lo scrittore biblico, intende la fornicazione. Anzitutto, nella visione cattolica risulta essere errato il modo in cui è stato tradotto il termine. Ad esempio, la Bibbia della Conferenza Episcopale Italiana, riporta il famoso passaggio scritturale di Matteo 19:3-9, come segue: “Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio”.
Difatti, in questo brano sembra che Gesù abbia usato la parola “concubinaggio”. Ciò al fine di giustificare il fatto che nel testo non compaia il termine greco “moicheia”, lemma che sta ad indicare “stricto sensu” l’adulterio. Questo grande sofisma esegetico, è stato studiato ad arte, per due motivi:
1. Per giustificare il divieto del divorzio anche in caso di adulterio, donde il sacramento indissolubile.
2. Per poter dire nella nota riferita a Matteo 19:9 della Bibbia di Gerusalemme (Conferenza Episcopale Italiana) quanto trascrivo: “Alcuni vogliono vedervi la fornicazione nel matrimonio, cioè l’adulterio, e trovano qui il permesso di divorziare in un caso simile; così le chiese Ortodosse e Protestanti”.
Faccio solo notare, che gli “alcuni” a cui si riferisce il commento della Bibbia cattolica, sono ben 426 milioni e 450 mila protestanti, e 271 milioni e 316 mila ortodossi.
Con questa abile acrobazia esegetica, l’unica giustificazione valida per interrompere un matrimonio sacramentale, sarebbe quella del concubinaggio, inteso come matrimonio incestuoso, contratto tra parenti e quindi proibito in Levitico 18:1-18.
Quando Gesù contesta le pratiche di divorzio del suo tempo, istruite con molta leggerezza, lo fa perché esse poggiavano essenzialmente sull'interpretazione liberale del rabbino Hillel, rispetto al modo di intendere Deuteronomio 24:1-3. In questo caso, Gesù ne eccettua l'adulterio, come giustificazione legittima per divorziare. Tuttavia il Messia si armonizzava con la più rigorosa scuola del rabbino Shammai, che limitava la cessazione del matrimonio, come conseguenza del solo adulterio. La Chiesa Cattolica, ovviamente, non condivide una simile interpretazione, ritenendola basata su una esegesi non esatta di Matteo 19:9. Tale passo, nell’ottica della teologia cattolica, stabilisce una sola deroga, ovvero un’ unione concubinaria illegittima, e giammai nel caso dell'adulterio.
Come Chiese Evangeliche nate dalla Riforma Protestante, teniamo in considerazione anche quelle che sono state le linee guida di Lutero sul divorzio. E lui la Bibbia la conosceva bene, sulla base delle lingue originali. Nel pensiero di Lutero, qualunque norma doveva discendere da ben definiti principi biblici e non prescindere da essi. Egli era un serio e profondo conoscitore dell’ebraico e del greco. In questo caso, la sua comprensione della Parola di Dio, lo condusse a sostenere (anche antropologicamente), la tesi per la quale l’istinto sessuale, essendo una normale pulsione dell’individuo, al pari della fame o del bisogno del dormire, poteva essere soddisfatta naturalmente nel matrimonio. Considerava, quindi, che le persone avessero diritto a un nuovo matrimonio nei seguenti casi: impotenza o frigidità (nel 1522 non c’erano cure), abbandono del coniuge, esortazione al male (che dire se uno dei due diventa un delinquente incallito, pur rimanendo fedele?), incompatibilità di carattere (che dire se la personalità del coniuge dovesse rovinosamente cambiare nel tempo?) e diversità di religione, ove il coniuge impedisca la libera pratica della fede. Ma tale catechesi sulla coppia, riguardava anche molti altri casi di infelicità matrimoniale, dove poteva essere stato violato il principio biblico dell’amare il coniuge, come prossimo più prossimo (Matteo 22:39). Conseguentemente, Lutero considerava una prepotenza il fatto che la Chiesa papale, cieca e ottusa, ponesse un vincolo indissolubile alla fine naturale di quei matrimoni, irrimediabilmente compromessi. E contro questo autoritarismo, di cui i cattolici dell’epoca erano sudditi, Lutero si batté spesso, anche con accenti assai violenti. Secondo lui, nessuno poteva limitare quella libertà che anche Paolo aveva riconosciuto, nell’ambito del cosiddetto “privilegio paolino”, ovvero, laddove un coniuge fosse stato abbandonato (1 Corinzi 7:15).
Nel caso decidiate per il divorzio, perché vostro marito o vostra moglie non sono più interessati a voi, sappiate che attraverserete una fase che si chiama “elaborazione del lutto”. E usando la parola lutto non intendiamo qualcosa che sia collegato alla morte, ma uno stato d’animo lacerante dovuto alla perdita in quanto tale. Le fasi di questa dinamica, sono essenzialmente quattro: negazione, rabbia, depressione, accettazione. Chi è stato vittima di adulterio e viene abbandonato, vive una dolorosa esperienza di rifiuto, che può intaccare in modo profondo l’autostima e la fiducia in se stessi.
Nelle prime fasi della separazione, la negazione è l’aspetto predominante. Chi viene tradito non riesce a credere a ciò che è successo veramente, pensando di vivere un brutto sogno. Dopo alcuni mesi o settimane di depressione, comincia ad insorgere verso l’ex partner un sentimento di risentimento: mentre prima la vittima attribuiva a sé tutte le colpe del mondo, adesso ogni torto è attribuito al partner.
Anche se nessuno deciderebbe di sua spontanea volontà di vivere un esperienza devastante come il divorzio, molti, quando riescono ad elaborare il lutto, si rendono conto di essere in grado di riconoscere tutti gli insegnamenti che la passata esperienza ci ha lasciato. Tutti i rapporti, anche quelli più negativi e più autodistruttivi, hanno qualcosa da insegnarci.
Non si può, quindi, essere dogmatici, negli spazi in cui la Bibbia non lo è. E’ necessario vagliare caso per caso, quelle che sono state le circostanze e le cause profonde che hanno condotto alla fine di una relazione coniugale. Ciò che è essenziale, è rappresentato dalla fedeltà alla legge biblica dell’amore, in merito alla quale Efesini 5:25-33 traccia una via maestra. Essa rappresenta l’affresco più bello, per vivere con il giusto spirito, i nostri rapporti di coppia:
“Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l'acqua della parola, per farla comparire davanti a sé, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama se stesso. Infatti nessuno odia la propria persona, anzi la nutre e la cura teneramente, come anche Cristo fa per la chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diverranno una carne sola. Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla chiesa. Ma d'altronde, anche fra di voi, ciascuno individualmente ami sua moglie, come ama se stesso; e altresì la moglie rispetti il marito”.
Luigi Pecora