Premessa

IL PIANO DI SALVEZZA CHE CONDUCE ALLA VITA ETERNA

1. Un giorno di circa duemila anni fa, un anonimo eunuco etiope, viaggiava seduto sul suo carretto, leggendo il rotolo di Isaia 53:7-8. Il diacono ed evangelizzatore Filippo, che viene mandato miracolosamente ad incontrare l’eunuco sulla sua strada (Atti 8:26), notando che l’uomo stava leggendo un rotolo della Bibbia, gli domandò: “Capisci quello che stai leggendo?”. La risposta che non si fece attendere, fu: “E come potrei se nessuno mi guida?”. In modo simile, davanti ad un libro come quello delle Sacre Scritture, tale domanda riecheggia ancora oggi, attuale più che mai. Pertanto, lo scopo di questo agevole pamphlet, il cui titolo è Il piano di salvezza che conduce alla vita eterna, vuole essere quello di proporsi come una guida alle dottrine basilari insegnate dalla Bibbia, fornendo risposte legate alla salvezza dell’uomo in senso ontologico. Cosa vuole dirmi Dio, tramite la sua Parola? Cosa racchiude il suo messaggio? L’espressione ordine della salvezza (dal latino ordo salutis), coniata nel XVIII secolo dai teologi luterani Johann Franz Budde e Jacob Carpov, viene usata dagli addetti ai lavori, solo in ambito protestante. Con questa frase, si vuole intendere il sequenziamento con cui potrebbero essere ordinate logicamente, le varie tappe dell'opera di redenzione umana, applicata al singolo credente. Il concetto di ordo salutis, rappresenta, in sequenza, quelle che possono essere definite, seppur impropriamente, tappe di un cammino preordinato da Dio, nei confronti dell’umanità (Giovanni 3:16).

2. Se pensiamo che il Signore “non è un Dio di confusione" (1 Corinzi 14:33), dedurremmo che anche le varie classificazioni legate alla redenzione, siano organizzate in scansione tra loro. Ed è la stessa Bibbia ad illustrare un esempio di ciò in Romani 8:30 ove leggiamo: "...perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati". Per cui, legittimato dal dettame biblico paolino, anche questo scritto di primo discepolato, illustrerà i seguenti aspetti di un percorso:  Bibbia, peccato, chiamata, elezione, conversione, redenzione, riscatto, ravvedimento, giustificazione, rigenerazione, adozione, Battesimo, Santa Cena, santificazione, perseveranza, Chiesa, Dio uno e trino. Ad ogni persona è data la capacità di accogliere o respingere la proposta di salvezza (Giovanni 4:7-26), come pure le è concesso di ravvedersi e di credere in Cristo. Solo dopo la consapevole risposta umana, Dio si compiacerà di impartire la sua rigenerazione. E’ chiaro che l’opera di redenzione, realizzata dal Signore nella vita di chi accetta di credere in Cristo (Giovanni 3:16), attenga ad ogni aspetto delle diverse categorie redentive, le quali, sia chiaro, non sono tra loro separate in compartimenti stagni, ma esclusivamente distinte. Il mio augurio, è che il presente lavoro Il piano di salvezza che conduce alla vita eterna come programma di studio biblico basilare, possa infondere nella tua persona la benedizione descritta in Giovanni 17:3 che dice: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo”. 

LA BIBBIA

1. Il concetto di Rivelazione, rappresenta il modo attraverso il quale Dio comunica con l’umanità. In questo caso, la rivelazione privilegiata che il Signore rende propria, per trasmettere il suo messaggio, è contenuta nella Sacra Scrittura: in tale circostanza parliamo in effetti di “rivelazione biblica”. Al suo interno (Bibbia o Scrittura sono sinonimi) si trovano 66 libri: 39 nell’Antico e 27 nel Nuovo Testamento. Grosso modo 40 autori, per un arco di tempo di circa 16 secoli, scrissero sotto ispirazione ciò che Dio indicava ai loro cuori. Gli Evangelici, per quanto riguarda l’Antico Testamento, si avvalgono di traduzioni che si rifanno al cosiddetto “canone corto palestinese”. Allo stesso modo, per il Nuovo Testamento, utilizzano scritti antichi del testo greco, anche venuti alla luce solo nel secolo scorso. Grazie al ritrovamento di vari frammenti, è stato possibile perfezionare il testo biblico con traduzioni rivedute. Tuttavia, le versioni cattoliche dell’Antico Testamento, come la vecchia Vulgata di San Girolamo o la traduzione greca dei LXX, contengono libri che non sono mai stati riconosciuti dalla comunità ebraica. Si tratta degli 8 cosiddetti “apocrifi” o “deuterocanonici”, composti durante i 400 anni di silenzio che intercorrono tra il libro di Malachia ed il vangelo di Matteo. Essi sono: Giuditta, Tobia, I e II Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruc, la lettera di Geremia ed alcune parti supplementari di Ester e di Daniele in greco. Gesù stesso, citò la triplice divisione del canone corto palestinese, che tuttavia non comprendeva alcun libro apocrifo: "Queste sono le cose che io vi dicevo quand'ero ancora con voi: che bisognava che tutte le cose scritte di me nella LEGGE di Mosè, nei PROFETI e nei SALMI, fossero adempiute" (Luca 24:44). La volta in cui, nel 90 d.C., si riunì il sinedrio rabbinico a Iamnia, per stabilire quali libri veterotestamentari fossero davvero ispirati, tali testi non furono accolti nella redazione finale del canone giudaico. Gli Ebrei, ai quali "furono affidati gli oracoli di Dio" (Romani 3:2), rifiutarono di validare come ispirati quegli scritti, così come non riconobbero le aggiunte ai testi di Ester e Daniele. Per questo motivo, nella Bibbia ebraica (che contiene solo i libri dell'Antico Patto), essi non compaiono. Né Gesù, né gli altri autori del Nuovo Testamento, citando versetti di Scritture, menzionarono mai i cosiddetti “apocrifi”.

2. La ripartizione in capitoli dei singoli libri che compongono la Bibbia, risale al XIII secolo, grazie al paziente lavoro del vescovo cattolico inglese, Stephen Langton (1150 - 1228). E fu una vera innovazione. Da quel momento, divenne molto più rapido e semplice trovare un passaggio scritturale, in un luogo preciso della Parola di Dio, piuttosto che cercare in un intero libro, come ad esempio potrebbe accadere con il testo di Isaia, che ha ben 66 capitoli! Ma qualcuno, prima di Langton, provò a fare lo stesso tipo di operazione. Certuni crearono molti sistemi, diversi e incompatibili tra loro. Ad esempio, uno di questi divideva il vangelo di Marco in quasi 50 capitoli, anziché nei 16 in cui è stato poi suddiviso. Un libro sull’argomento afferma che il suo sistema “ottenne il plauso dei lettori e dei copisti. L’idea si diffuse rapidamente in tutta l’Europa” (The Book a History of the Bible). Il metodo di numerazione dei capitoli da lui elaborato, è lo stesso che ritroviamo oggi nelle nostre Bibbie. Circa trecento anni più tardi, intorno al 1551, la suddivisione in versetti del Nuovo Testamento fu realizzata dallo scrittore Robert Estienne Olivetan, detto anche Stephanus (1503 -1559). Egli, che era, tra l’altro, cugino del riformatore Giovanni Calvino, apparteneva a una famiglia di editori parigini al soldo della corte reale di Francia. Nel 1553 pubblicò la prima versione delle Sacre Scritture in lingua francese, contenente, pure in questo caso, gli stessi capitoli e versetti delle nostre attuali Bibbie. Ma non mancarono le persone che, come talvolta avviene in questioni religiose, mossero delle critiche, dicendo che i versetti frammentavano il testo biblico, facendolo apparire come una serie di pensieri separati e scollegati tra loro. Nonostante ciò, il suo sistema divenne universale.

Ed ora, passiamo a fornire qualche informazione di tipo tecnico. L’ Antico Testamento si distingue in tre grossi gruppi letterari, come conferma il già citato passo di Luca 24:44. Essi sono: la Legge, i Profeti e gli Scritti Sacri (Torah, Nebìm, Ketubìm), che insieme formano il “canone tripartito”, così suddiviso:

Legge: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Profeti: Giosuè, Giudici, Samuele e Re (anteriori); Isaia, Geremia, Ezechiele (posteriori) ed i 12 profeti minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; Scritti sacri o Agiografi: Salmi, Proverbi, Lamentazioni, Cantico dei cantici, Ruth, Ecclesiaste, Ester e Daniele. Quest’ultimo non è inserito nell’elenco dei profeti, perché sprovvisto di un diretto mandato da parte di Dio, rispetto a tale specifico ministero.

E’ possibile fare una periodizzazione per quanto riguarda la raccolta ed il riordino dei testi, nei gruppi indicati: Legge: 400 a.C. (periodo di Esdra); Profeti: 200 a.C. (periodo dei Tolomei); Agiografi: 90 d.C. (sinedrio di Iamnia).

Il canone del Nuovo Testamento è formato da 27 libri: 4 Vangeli, Atti degli Apostoli e 13 epistole di Paolo: Romani, I e II Corinzi, Galati, Efesini, Filippesi, Colossesi, I e II Tessalonicesi, I e II Timoteo, Tito e Filemone. Anche se non cambia il senso delle cose, probabilmente la lettera agli Ebrei non è stata scritta direttamente da Paolo, ma da un suo discepolo. Infine, chiudono il canone le seguenti epistole: Giacomo, I e II Pietro, I, II e III Giovanni, la lettera di Giuda ed in ultimo, il testo profetico dell’Apocalisse.

3. La prima Bibbia cattolica in tedesco, che era una traduzione dall’imprecisa Vulgata, fu pubblicata a Strasburgo nel 1466, da Johann Mentelin. La Bibbia di Lutero, che è invece basata sui testi originali in ebraico-aramaico e greco, vide la luce a Wittenberg nel 1534. Tuttavia antecedentemente al 1455, anno dell’invenzione della stampa, qualunque testo biblico tradotto in lingua latina, poteva essere realizzato grazie al lungo e paziente lavoro degli amanuensi (dal latino servus a manu). Essi erano esperti copisti che trascrivendo i brani, di copia in copia, esercitavano meticolosamente un sistema di controllo tale per cui ogni singola lettera, veniva contata. E ciò per essere sicuri di non aver commesso errori e dimenticanze di trascrizione. A partire dal 313 d.C., data che sancisce l'emanazione dell' editto di Costantino che concedeva la libertà di culto ai cristiani, si assiste ad un rapido e consistente sviluppo del testo scritto e, di conseguenza, dello studio della Scrittura. La Bibbia di maggior utilizzo a quel tempo, come già detto, era la Vulgata latina, che vide la luce nel 405 d.C. essendo stata realizzata da Girolamo, segretario di papa Damaso. Questa versione, tuttavia, conteneva delle enormi inesattezze sul piano della traduzione letterale, con nefaste ripercussioni a livello dottrinale. Ad esempio, sapete perché la chiesa cattolica insegna che il matrimonio sarebbe un atto indissolubile e quindi sacramentale?  Perché, anziché tradurre dal greco al latino il sostantivo mysterion con “mysterium”, Girolamo rese il termine con l’arbitrario vocabolo “sacramentum”, ed ecco che il matrimonio, cattolicamente, divenne tale. Sapete perché la chiesa cattolica inserisce la confessione personale al sacerdote, in quello che è l’elenco dei sacramenti necessari alla salvezza del cristiano? La risposta si trova nella frase originaria “ravvedetevi perché il regno di Dio è vicino”, che fu strumentalmente tradotta con  un “fate penitenza, perché il regno di Dio è vicino”, stravolgendo così l’intero senso del concetto: in quest’ultimo caso, il “fare penitenza”, indicherebbe la necessità di compiere opere per ottenere il perdono, ma così non è. Ultimo esempio. Sempre secondo la Vulgata latina, l’arcangelo Gabriele salutò Maria come “colei che è piena di grazia” (gratia plena), dando così l’idea che la madre di Gesù sia una sorta di serbatoio pieno di benedizioni, dal quale potersi rifornire. Ed ecco, quindi, giustificata la preghiera e l’invocazione dell’Ave Maria. Ciononostante, i Riformatori dimostrarono che nel testo greco originale, Maria veniva descritta semplicemente come “colei che è favorita”. Tali scoperte, minarono l’attendibilità della Vulgata latina, su cui poggiavano le dottrine della chiesa cattolica romana. E da questa prospettiva, la Riforma fu un diluvio inevitabile.

4. Gli autori biblici, avevano ben chiaro il senso di ciò che scrivevano. Per noi oggi, non sempre è così. Era il 170 d.C., quando venne compilato quello che è ritenuto l’elenco più antico dei libri del Nuovo Testamento, noto come Canone Muratoriano. Questo curioso titolo si deve al suo scopritore, il sacerdote cattolico, bibliotecario, storico e scrittore Ludovico Antonio Muratori, che visse nel Settecento. Però sono passati 2000 anni abbondanti ed in un ambiente come quello attuale, in cui cultura e società non sempre corrispondono ai modelli dei tempi biblici, il cristianesimo ha avuto oggettive difficoltà, nell’interpretare l’applicazione di determinati brani. Tale problema si manifesta maggiormente verso  l’Antico Testamento, per il quale, come redazione, bisogna andare indietro al tempo di Mosè (XVI secolo a.C.). Per non parlare, poi, del genere apocalittico di Daniele o della stessa Apocalisse di Giovanni. Quando ci troviamo davanti ad uno scritto bilico ispirato, le regole da adottare devono comprendere necessariamente alcuni aspetti: in primo luogo, bisogna capire chi fossero i diretti destinatari delle pagine bibliche. Poi, è utile sapere in quale ambiente lo scrittore, con la sua mentalità e la sua cultura, le compose: l’ispirazione non consiste nella spersonalizzazione della trance ipnotica. Ad esempio, chi ha stilato il libro dell’Ecclesiaste (Salomone vicino al tramonto della sua vita), è sicuramente un pessimista, a volte fatalista, giacché calca la mano sulla provvisorietà dell’esistenza terrena. Dio, da parte sua, ispira sia lo scritto che la mente di chi lo compone, anche se quest’ultimo potrebbe offrire al brano, una personale coloritura. Di tutt’altro tono, risulta essere l’inchiostro del Cantico dei Cantici (qui Salomone è giovane), perché appare come una composizione letteraria di sapore romantico. In esso incontriamo espressioni o figure tipiche del linguaggio orientale, ancorché immagini schiette che nessun attuale perbenista penserebbe di inserire nella Bibbia (Cantico dei Cantici 7:3-10 – 8:1-4). Per tale motivo, risulta essere importante avere conoscenza del periodo storico in cui lo scritto prese forma. Ad esempio, non si possono comprendere certe drammatiche espressioni dell’Apocalisse, senza sapere che Pietro e Paolo, all’epoca della stesura del libro, erano già stati martirizzati, o senza conoscere il fatto che nell’anno 98 d.C., imperversasse la persecuzione imperiale sulla Chiesa. E questo era il motivo, per il quale l’apostolo Giovanni, autore dell’ultimo libro che chiude la Bibbia, si trovava in esilio presso l’isola penale di Patmos, dove rimase 18 mesi per decisione dell’imperatore Domiziano (Eusebio in Storia Ecclesiastica, III, 18, 1).

5. In conclusione, nonostante la sua univocità, la Bibbia deve essere letta, studiata, interpretata e compresa, tenendo anche conto della diversità di ciascuno dei 66 libri che la compongono. Una grande biblioteca, diversi piccoli testi, un solo autore, ed un unico scopo: l’annuncio della redenzione dell’umanità. I cristiani fedeli al testo sacro, seguiranno il consiglio della stessa Parola, laddove dice che “tutta la Scrittura è ispirata da Dio ed è utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia” e che “nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo, parlarono quegli uomini da parte di Dio” (2 Timoteo 3:16 – 2 Pietro 1:20-21).

                                                               IL PECCATO

1. In merito al peccato, dobbiamo anzitutto fare una indispensabile premessa, su quanto la Bibbia dice intorno alla condizione del nostro essere. In Romani 3:10-11 leggiamo che “Non c'è nessun giusto, neppure uno. Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio”. Questo passo biblico, si può declinare in maniera inequivocabile, nei confronti della condizione umana della società del primo secolo.  Ma ancor di più, si può applicare alla società dei nostri tempi moderni. I sociologi della religione, sostengono che viviamo in un tempo di decristianizzazione, nel quale le persone che si nutrono di una spiritualità generica ed individualista, possono comodamente trovare, davanti alle offerte del diversificato mondo religioso, la collocazione che maggiormente le aggrada: una specie di zapping spirituale. Ma il dettato biblico, è ancor più preciso quando in Romani 3:23, dichiara che “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio”; questa è la vera e concreta condizione nella quale nasciamo, viviamo, moriamo. E la strutturazione della nostra fragile condizione, incline al male, sorge già nel tempo della prima gioventù, perché “il cuore dell'uomo concepisce disegni malvagi fin dall'adolescenza” (Genesi 8:21). E non abbiamo scappatoie per sfuggire a una simile realtà. Tale situazione, deriva dalla rottura avvenuta tra Dio e le prime due creature del genere umano, Adamo ed Eva. Ma facciamo attenzione, perché stiamo ragionando intorno ad una verità da interiorizzare seriamente, rinunciando a pensare che i nostri “progenitori” fossero personaggi da favola. Gesù stesso, non riteneva che si potesse trattare di due soggetti immaginari, così come invece sostengono coloro che credono nella teoria dell’evoluzione. Il Signore in Matteo 19:4, dice ai suoi astanti: “Non avete letto che il Creatore, da principio, li creò maschio e femmina?”. E poi, se fossimo davvero figli dell’evoluzione, potremmo mai pensare che Gesù sia morto sulla croce, per riscattarci, stando all’evoluzionismo, dal peccato di una scimmia antropomorfa? Crollerebbe tutto il cristianesimo che si fonda sul sacrificio di espiazione del figlio di Dio. Questa si che è pura fantasia!

2. In Romani 5:12 e 19, viene detto che un solo uomo, Adamo, è il responsabile del peccato e della morte che hanno contagiato l’umanità, con tutto il relativo corteo di dolori e lacrime. In Romani 6:23, la morte stessa viene definita come “salario del peccato”, in contrapposizione alla vita eterna, che viene ad essere il frutto redentivo del secondo Adamo, Gesù Cristo. Il peccato si manifesta nelle sue conseguenze di squilibrio e disarmonia, con gli evidenti risultati che caratterizzano l'attuale condizione umana. I principali Riformatori protestanti del XVI secolo, ed il risultante pensiero espresso nelle classiche confessioni di fede, riaffermarono la realtà della caduta. Con questa parola si vuole intendere, metaforicamente, il concetto del peccato adamico, perché l'intera natura umana è palesemente corrotta, spiritualmente morta, radicalmente incapace di fare il bene. Il Protestantesimo, nega pure che il battesimo abbia in sé il potere di cancellare gli effetti di tale caduta. Per contro, è la rigenerazione ad opera dello Spirito Santo che viene ad essere l’unica risorsa efficace ed utile per impartire agli eletti, la capacità di rispondere al vangelo della grazia, con il proprio ravvedimento (Giovanni 16:8). Ma tale rigenerazione avviene solo quando una persona giunge effettivamente alla fede. Tuttavia, essa non coincide con il battesimo, che invece suggella unicamente la consacrazione già avvenuta.

3. Uno degli aspetti del peccato, è che rappresenta in primo luogo un'offesa verso Dio: “Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto” (Salmo 51:6). La varietà dei peccati è grande. La Scrittura ne dà parecchi elenchi. La lettera ai Galati, contrappone le azioni dettate dal peccato, rispetto al frutto dello Spirito: “Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio” (Galati 5:19-21). La radice del male affonda nel cuore dell'uomo, nella sua libera volontà, secondo quello che insegna Gesù: “Dal cuore (...) provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo” (Matteo 15:19-20). Il peccato ha per oggetto due elementi: il primo può essere rappresentato da un’azione commessa con piena consapevolezza, mentre il secondo aspetto si manifesta nel deliberato consenso, con il quale si compie una trasgressione alla volontà di Dio. Il peccato è una possibilità della condizione esistenziale umana, come può esserlo l’amore. Un peccato, trascina ad altro peccato e, con la ripetizione dei medesimi atti, si genera il vizio. Come risultato, ne derivano inclinazioni peccaminose, che induriscono la coscienza e alterano la concreta valutazione del bene e del male. In tal modo, l’azione del peccare tende a ripetersi, a replicarsi e a rafforzarsi. Il peccato è un atto personale, e ciò si traduce nella dinamica “tentazione-peccato-conseguenze”. In Giacomo 1:13-15 viene descritto il maccanismo: “Nessuno, quand'è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno; invece ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce. Poi la concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compiuto, produce la morte”. E pure in tale situazione c’è un rimedio, perché in 1 Corinzi 10:13 è scritto che “Nessuna tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate sopportare”.

4. Inoltre, abbiamo anche una responsabilità per i peccati commessi dagli altri, quando vi cooperiamo deliberatamente, rendendoci complici con più o meno consapevolezza. Pensiamo alle volte in cui ci confrontiamo con le persone che sbagliano, tacendo rispetto alle loro azioni; oppure, non denunciando le violazioni, o proteggendo coloro che commettono il male. Non dimentichiamo che sovente i gravi peccati alimentano situazioni sociali, contrarie all’amore verso il prossimo: pedofilia, violenze domestiche, mobbing sul luogo di lavoro, incentivazione della cultura del gioco d’azzardo, traffico di stupefacenti, uso del mercato del sesso in tutti i suoi aspetti, omosessualità, e tanto altro. Ma esiste un rimedio per il peccato, per depotenziarlo, privandolo della forza coattiva che esercita ai danni dell’uomo. Questa soluzione risiede nel rinascere spiritualmente (Giovanni 3:1-7), perché chi è rinato dallo Spirito di Dio, non persiste nel peccare: “Colui che persiste nel commettere il peccato proviene dal diavolo, perché il diavolo pecca fin da principio. Per questo è stato manifestato il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo” (1 Giovanni 3:8).

5. Noi siamo fallibili, perché tendenti a sbagliare già a partire dai nostri pensieri e comportamenti. Il senso di colpa che nutriamo quando comprendiamo di avere commesso un errore, è il segnale forte del fatto che la coscienza ci sta richiamando. Il ragionamento descritto in Romani 7:14-25 dall’apostolo Paolo,  menziona il conflitto di coscienza che egli stesso sperimentava circa il bene e il male. Si tratta del riflesso di una esperienza comune, che si inquadra in un vero e proprio combattimento con quello che è anche un lato d’ombra della nostra personalità: “Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato”. Ed infine, non vogliamo tralasciare il peccato del disimpegno e della omissione, ben evidenziato in Giacomo 4:17, ove è scritto: “Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato”. Questo tipo di mancanza si concretizza quando noi, pur potendo compiere una azione caritatevole verso chi è nel bisogno, ci rifiutiamo di farla. Abdichiamo e magari deleghiamo, anziché dividere il pane con chi ne è privo.

6. Ma ora analizzeremo in maniera articolata, il significato letterario, grammaticale e concettuale del peccato, nelle sue tre principali declinazioni, a partire dalla lingua greca del Nuovo Testamento.

Hamartia: letteralmente, mancare il bersaglio, come nella gara di tiro. Questa è la parola con cui si intende il peccato nel senso più generico possibile, ed è usata 221 volte nel Nuovo Testamento. In Ebrei 12:1, ad esempio, compare la frase "il peccato (hamartia), che così facilmente ci avvolge" per rappresentare un concetto generale, in senso lato.

Paraptoma: in questo caso, si tratta di un peccato involontario. Esso può sorprenderci quando non ci rendiamo conto di aver commesso un fallo. L’esempio di un versetto biblico in cui compare la parola greca paraptoma, è Efesini 1:7 che dice: “In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati (paraptoma), secondo le ricchezze della sua grazia". E così, per merito del testo greco, capiremo ancor meglio come l’apostolo parlasse di peccati non intenzionali.

Parabasis: qui si sbaglia sapendo di sbagliare! E ciò accade intenzionalmente, per oltrepassare una linea di delimitazione. Un esempio ci viene offerto da Ebrei 2:2 in cui è scritto: "Infatti, se la parola pronunziata per mezzo di angeli si dimostrò ferma e ogni trasgressione (parabasis) e disobbedienza (parakoe) ricevette una giusta retribuzione, come scamperemo noi se trascuriamo una così grande salvezza?...”.    

7. Abbiamo già visto che Dio creò l’umanità con qualità morali ed intellettuali. Proprio come esito di queste prerogative, l'uomo fu sottoposto ad una prova condizionale, per avere la possibilità di esercitare il suo libero arbitrio. Dio creò l'uomo in uno stato di perfezione psicofisica e non avrebbe potuto dargli vita, se non nell’autonomia e nel migliore ambiente possibile, il paradiso. L'albero della conoscenza del bene e del male, fu una prova concreta della possibilità della tentazione. La proibizione avrebbe dovuto realizzare uno sviluppo intellettuale ed una maturazione morale nell'uomo. Ma l’uomo peccò. A questo punto, Dio pronunciò la prima profezia biblica, riportata in un passaggio scritturale definito come “protovangelo”: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno” (Genesi 3:15). E se questo è il protovangelo, in Giovanni 3:16 abbiamo il cuore della realizzazione del vangelo stesso, in un versetto con cui termina l’argomento del peccato: “Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”.

RAVVEDIMENTO E CONVERSIONE

  1.Il ravvedimento in senso spirituale, è il riconoscimento dei propri errori, in vista di una correzione alla luce della volontà di Dio. In Marco 1:15 leggiamo: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo”. Il vangelo moderno, sembra risolversi in una sorta di buonismo umanista, privato delle esigenze legate al ravvedimento personale e al cambiamento. Scrive l’apostolo Paolo: "Disprezzi le ricchezze della sua benignità, della sua pazienza e longanimità, non conoscendo che la bontà di Dio ti spinge al ravvedimento?" (Romani 2:4). La parola ebraica teshuvah tradotta in italiano come  “ravvedimento”, può essere meglio consapevolizzata se intesa con il concetto relativo al cambiare per ritornare a Dio. Nel greco neotestamentario, l’espressione legata al ravvedimento, è resa col termine di epistrepho, che pure significa volgersi o ritornare a Dio. L'autentico ravvedimento si esprime in uno stile di vita e non una circostanza occasionale.

  2.Sicuramente faremo progressi nella grazia di Dio, ma ogni autentico avanzamento accade anche attraverso un ravvedimento costante, che si incrocia ancor di più con la santificazione, come vedremo più avanti. Al momento, possiamo ravvederci rispetto ad una certa azione o modalità relazionale, intessuta dentro una ben precisa e determinata circostanza della nostra vita, ma ciò non significa che non avremo più bisogno di teshuvah nel nostro cammino terreno. Il ravvedimento è continuo. Un esempio emblematico del concetto di ravvedimento, in vista di un ritorno a Dio, è offerto dal vangelo di Luca 19:1-10 che narra: “Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Un uomo, di nome Zaccheo, il quale era capo dei pubblicani ed era ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non poteva a motivo della folla, perché era piccolo di statura. Allora per vederlo, corse avanti, e salì sopra un sicomoro, perché egli doveva passare per quella via. Quando Gesù giunse in quel luogo, alzati gli occhi, gli disse: «Zaccheo, scendi, presto, perché oggi debbo fermarmi a casa tua». Egli si affrettò a scendere e lo accolse con gioia. Veduto questo, tutti mormoravano, dicendo: «È andato ad alloggiare in casa di un peccatore!» Ma Zaccheo si fece avanti e disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo». Gesù gli disse: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d'Abraamo; perché il Figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto». Zaccheo si ravvide.

  3.Il significato dell’espressione conversione deriva dall’ebraico shub (il dodicesimo verbo maggiormente usato nella Bibbia ebraica), e dal sostantivo greco metànoia, a sua volta derivazione del verbo metanoeo, ossia cambiare idea. Già nell’Antico Testamento, il profeta Isaia richiamava il popolo a tornare a Dio: “Lasci l'empio la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; si converta egli al Signore che avrà pietà di lui, al nostro Dio che non si stanca di perdonare" (Isaia 55:7). Nel Nuovo Testamento, il termine indica un totale capovolgimento che si attua nel modus vivendi di chi aderisce al messaggio di Cristo, nella misura in cui egli modifica la maniera di considerare la propria esistenza in base a una ricerca di senso, scopi e significati. In questa direzione, le beatitudini evangeliche sono l’espressione più radicale della metanoia cristiana (Matteo 5:3-11). Grazie all’annuncio della salvezza, la conversione viene ad essere una presa di coscienza, volta al radicale cambiamento di prospettive esistenziali, come frutto di una riflessione personale (Atti 9:11-22). Una mia definizione legata al concetto di conversione, è la seguente: “la conversione è una rivoluzione profonda a livello di pensieri e di sentimenti, che conduce ad un mutamento di parole e comportamenti”. In Matteo 18:3 facciamo lettura di un duro monito di Gesù che suona così: "In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli". 

  4.La conversione è un atto vissuto consapevolmente da parte del soggetto, e non un avvenimento di cui si faccia esperienza passiva o emotiva. Per il cristiano, la vita trasformata è l'espressione esteriore un di cuore rinnovato. Esempi biblici di questa verità, solo per citarne alcuni, sono descritti nella conversione di Paolo (Atti 9), nel battesimo dell'eunuco etiope (Atti 8:26-40), nel pentimento del figlio prodigo (Luca 15:11-32) e nell’outing di Zaccheo (Luca 19:2-10). Non ci può essere riconciliazione con Dio, rispetto ai propri peccati, se non attraverso la conversione. In Atti 3:19 è scritto: “Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati”. La riunificazione di uno stato dell’ io prima diviso, può essere il risultato di una conversione per merito della quale diviene possibile realizzare la propria armonia psichica. In tale frangente, la conversione è vista come un passo importante nella creazione della propria identità. Il “sé percepito”, secondo lo psicoterapeuta William James (1842 –1910), equivale all’immagine reale che abbiamo di noi stessi. Non è coincidenziale che la Bibbia, in merito al figliol prodigo che si ravvede, dica che egli fece la seguente esperienza: "Allora, rientrato in sé.." (Luca 15:17). Mentre il caratterizza la persona nella sua totalità rispetto all'ambiente, l'io che ne è inglobato, rappresenta la struttura che si auto-percepisce ed entra in relazione con altre persone. Ecco perché il ritrovare se stessi, rappresenta la chiave per la riunificazione del proprio io, grazie al cui evento si trova ingresso alla più importante delle relazioni da intrecciare, che è quella col Signore. Altre spiegazioni includono termini come: integrazione della personalità, nuovo essere, libertà e riorientamento.

  5.La conversione, inoltre, si può articolare su due piani: vi è il livello personale, ma vi è anche un livello sociale. Sebbene, fondamentalmente, implichi un cambiamento dei nostri rapporti con Dio, la conversione comporta al tempo stesso, una modificazione dei nostri rapporti con gli altri: dall’egocentrismo all’altruismo e dall’indifferenza alla compassione associata ad empatia. Significa accogliere Cristo non solo come Salvatore in astratto, ma anche come Signore di tutta la nostra vita individuale e di relazione. Nella teologia della Riforma protestante, la conversione, atto reso possibile dalla grazia di Dio, è intesa come manifestazione della rigenerazione su piani interiori ed esteriori. Nondimeno, a tal proposito, Martin Lutero credeva che la conversione potesse anche essere abortita decadendo dalla grazia. La Bibbia offre diversi esempi in questo senso, e non a caso in una parte di essa è scritto “…ma il mio giusto per fede vivrà; e se si tira indietro, l’anima mia non lo gradisce” (Ebrei 10:38). La conversione è un processo dinamico e progressivo, perché l'intera vita cristiana rappresenta un cammino continuo; e saremo attivi protagonisti di essa, così come saremo passivi nella rigenerazione, perché  solo la grazia di Dio ci mobilita. Nessuno può meritarsi la salvezza, ma tutti possono accoglierla e accettarla, quando i nostri occhi interiori riusciranno a comprendere la portata della sua rilevanza. La conversione è il contenuto, ma non il merito che causa la nostra giustificazione, perché di essa la sola fonte rimane la libera ed incondizionata grazia di Dio che ci precede.

RISCATTO E GIUSTIFICAZIONE

1. Tra i vangeli, il passo di Giovanni 3:16, è noto per essere il versetto chiave che esprime la volontà di Dio, circa il riscatto dell’uomo dalla condizione di condanna: “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”. Ci sono due opzioni: perire in eterno, in quanto lontani dal Signore, oppure godere la sua presenza d’amore, nel tempo infinito. In Luca 16:19-31 c’è il paradigma di questo insegnamento:  «Or vi era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e bisso, e ogni giorno se la godeva splendidamente. Vi era anche un mendicante chiamato Lazzaro, che giaceva alla sua porta tutto coperto di piaghe ulcerose, e desiderava saziarsi delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Or avvenne che il mendicante morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo; morì anche il ricco e fu sepolto. E, essendo tra i tormenti nell'inferno, alzò gli occhi e vide da lontano Abramo e Lazzaro nel suo seno.  Allora, gridando, disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito per rinfrescarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma". Ma Abramo disse: "Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la tua vita e Lazzaro similmente i mali; ora invece egli è consolato e tu soffri. Oltre a tutto ciò, fra noi e voi è posto un grande baratro, in modo tale che coloro che vorrebbero da qui passare a voi non possono; così pure nessuno può passare di là a noi". Ma quello disse: "Ti prego dunque, o padre, di mandarlo a casa di mio padre, perché io ho cinque fratelli, affinché li avverta severamente, e così non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Abramo rispose: "Hanno Mosè e i profeti, ascoltino quelli". Quello disse: "No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvedranno". Allora egli gli disse: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti». Un altro versetto biblico, quello di Romani 5:8, è simile a Giovanni 3:16 perché dice: “Ma Dio manifesta il suo amore verso di noi in questo che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”. Non ha atteso che gli dimostrassimo di essere i migliori, i perfetti, ma nella nostra condizione decaduta, ci è venuto incontro per darci in dono il suo unigenito Figlio, come sacrificio di riscatto. E ciò si lega alla prima profezia biblica che abbiamo già esaminato nelle pagine precedenti. Essa si perde nella notte dei tempi, fin dalla creazione di Adamo ed Eva, quando Dio disse: “E io porrò inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei; esso ti schiaccerà il capo, e tu ferirai il suo calcagno”(Genesi 3:15). Il vangelo racconta all’umanità che il sangue di Gesù è stato versato sulla croce ed il sacrificio ha ottenuto il riscatto e la redenzione. Dio ha tolto dalle nostre vite lo stigma che ci caratterizzava come peccatori impenitenti, per trasformarci in peccatori perdonati. Sostanzialmente, questa verità si rispecchia nella sintesi ontologica di Martin Lutero, il quale vedeva nell’uomo la condizione contemporanea di un essere che è simul iustus et peccator. In 1 Giovanni 1:7 è scritto: “Ma se camminiamo nella luce, com'egli è nella luce, abbiamo comunione l'uno con l'altro, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato”.

2. In merito al tema della giustificazione, dobbiamo formare il nostro pensiero, a partire dall’epoca del cosiddetto Rinascimento, tra il 1300 ed il 1500. Si trattò di un tempo in cui le arti e la cultura della storia d'Europa, sperimentarono profondi rinnovamenti e sviluppi. Ciò rappresentò una straordinaria opportunità per gli studiosi di lingue antiche e per i teologi desiderosi di una vera riforma della Chiesa, basata sulla riscoperta della Scrittura. Il motto di questi sinceri ricercatori e Riformatori religiosi, era Ad fontes! Ovvero, andiamo alle fonti! Essi erano interessati sia al riesame degli scritti, sia alla riscoperta del testo originale greco neotestamentario. In questo quadro storico, che percorse un periodo che va dalla fine del Medioevo all’inizio dell'età moderna, si aprì la strada al contributo più vitale di Martin Lutero, in relazione alla teologia della Riforma protestante. Il poter tornare ad esaminare i testi nelle lingue originali, favorì l’apparire di una nuova luce sul pensiero dell’apostolo Paolo, in ordine alla gratuità della giustificazione, come atto benevolo di Dio nei confronti dell’uomo immeritevole. La giustificazione è un dono della misericordia dell’Eterno proprio perché tale azione concreta, si riverbera nei risvolti pratici dell’esistenza di colui che accoglie Gesù nella propria vita, come un vero evento della grazia.

3. Alla luce dei noti meccanismi dell’azione meritoria e del conseguente premio, la grazia salvifica viene ad essere un segno strepitoso del grande amore di Dio verso l’uomo, perché prescinde dai meriti personali, rispetto ad opere compiute. Come è scritto in Romani 3:28 “Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge”. Se poi non abbiamo ben chiaro il rapporto organico tra fede, giustificazione ed opere, ecco che la scrittura di Efesini 2:8-10, ci aiuta a chiarire ogni possibile equivoco: “Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo”. La giustificazione, designa una personale e nuova condizione grazie alla misericordia di nostro Signore, perché solo in questo modo possiamo essere rappresentati come giusti, o ancor meglio, “giustificati” davanti a Dio. Infatti la Bibbia dice il vero, quando sostiene “come sta scritto: Non c'è nessun giusto, nemmeno uno, non c'è sapiente, non c'è chi cerchi Dio!”(Romani 3:10-11). Nella Parola di Dio, la legge si trova illustrata nei pilastri dei 10 comandamenti esposti in Esodo 20:2-17, ripetuti in Deuteronomio 5:6-21 e perfezionati nel vangelo di Matteo ai capitoli 5 e 7. Tale articolata legislazione, venne “donata” da Dio (non a caso nell’ebraismo di parla del “dono della legge”), affinché ciascuno comprendesse che davanti a lui, nessun uomo avrebbe mai potuto “ essere a posto”, proprio perché la legge è funzionale al giudizio. Basti pensare a Matteo 5:28 ove Gesù ammonisce con queste dure parole: “Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. Con un simile severo monito, potremmo davvero comprendere il fatto d’essere perdenti in partenza, rispetto all’impeccabilità di quei pensieri, che si mostrano anarchici al nostro controllo cosciente.  A conferma di ciò, in Romani 3:20, nella seconda parte del versetto, leggiamo: “infatti la legge dà soltanto la conoscenza del peccato”. In Galati 3:10-11 si legge: “Ora tutti coloro che si fondano sulle opere della legge sono sotto la maledizione, perché sta scritto: «Maledetto chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle». Poiché è manifesto che nessuno è giustificato mediante la legge davanti a Dio, perché: «Il giusto vivrà per la fede». Rispetto a questa ultima frase, “il giusto vivrà per la fede” ripresa da Abacuc 2:4, nasce il motto latino, tanto caro a Lutero, noto come il “sola fide”.

4. Ed proprio in merito alle premesse storico-religiose della Riforma, che risulta utile aprire una breve parentesi relativa al racconto di un fatto storico, la cui conoscenza sarà senz’altro illuminante. Nel 1517 papa Leone X, volendo ricostruire la basilica di S. Pietro a Roma, e non disponendo dei mezzi necessari, aveva istituito in tutto il mondo una speciale indulgenza per coloro che avessero fatto un'offerta in denaro, per finanziare il suo sogno. L'indulgenza era una sorta di “giustificazione a pagamento”, per merito della quale le pene che i fedeli avrebbero dovuto scontare nel Purgatorio, sarebbero state graziate attraverso opere meritorie, come pellegrinaggi, ripetute preghiere, elemosine, digiuni e sacrifici. La giustificazione offerta da tali certificati d'indulgenza, era proporzionata all'importo del denaro. Lutero affermò con forza che le opere, le azioni e i meriti personali non potevano essere lo strumento per la salvezza. Sia la mancanza di fede in Dio che l’assenza di consapevolezza personale del proprio limite, vengono ad essere sostituite da pratiche con le quali dimostrare a tutti i costi d'essere sempre più santi e perfetti. Ecco perché, secondo il Riformatore, le indulgenze, così come i pellegrinaggi, i digiuni, la castità, la povertà e l’obbedienza, vanificavano la grazia di Dio, rendendola inutile. Per essere salvati, le opere non hanno valore (Isaia 64:6), e semmai costituiscono la risposta della persona che ha sperimentato la salvezza (Efesini 2:8 10). I sacramenti, insieme alle tradizioni della chiesa cattolica, compreso il relativo magistero, non hanno alcun valore salvifico, con buona pace di chi, come Cipriano di Cartagine, già nel III secolo d.C. diceva “Nulla salus extra ecclesiam”, implicitando che solo restando nella chiesa cattolica, si potesse essere salvati.

RIGENERAZIONE E ADOZIONE

1. Il termine rigenerazione, trae origine dalla parola greca palingenesis, che si può tradurre letteralmente con l’espressione di “nuova nascita”. Essa si estende alla natura dell'uomo nella sua interezza, per poi riflettersi nella condotta dell’individuo, illuminando la mente e liberando la volontà, precedentemente incatenata dalla coazione e dalla potenza del peccato. Il concetto di rigenerazione, compare nel Nuovo Testamento solo due volte. La prima ebbe luogo in occasione del dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo, il quale era venuto di nascosto a cercare il Messia. Il vecchio maestro fariseo, viene messo di  fronte alla necessità di nascere di nuovo, per poter vedere la salvezza dell’Eterno. Eppure il rabbino non comprende. Ecco come andò la vicenda, narrata in Giovanni 3,1-13 : “C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Egli venne di notte da Gesù, e gli disse: «Rabbì, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; perché nessuno può fare questi miracoli che tu fai, se Dio non è con lui». Gesù gli rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio». Nicodemo gli disse: «Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?» Gesù rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: "Bisogna che nasciate di nuovo". Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito». Nicodemo replicò e gli disse: «Come possono avvenire queste cose?» Gesù gli rispose: «Tu sei maestro d'Israele e non sai queste cose?  In verità, in verità ti dico che noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo di ciò che abbiamo visto; ma voi non ricevete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato delle cose terrene e non credete, come crederete se vi parlerò delle cose celesti? Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell'uomo”.

2. La seconda occasione in cui compare il concetto di rigenerazione, si trova in Tito 3:5 ove leggiamo che “egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il bagno della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo”. La rigenerazione è un mezzo, o meglio, la condizione necessaria e irrinunciabile per la salvezza. Essa deve manifestarsi nella nostra esperienza umana, con segni evidenti, che possono scaturire in nuovi modi di pensare e di fare. Credo che la conclusione di Romani 6:4, in cui si legge “…affinché anche noi camminassimo in novità di vita”, esprima più che chiaramente quello che la rigenerazione significhi nel cammino della persona che ha risposto alla chiamata del Signore. Lo Spirito Santo, fautore “del nascere di nuovo”, è colui che dona all’uomo la luce per vedere il Regno e la benedizione di entrarvi. Senza lo Spirito, l’individuo resta chiuso nel cerchio dell’incomprensione e dell’incapacità verso l’elemento spirituale. E ciò perché sono due i fattori necessari per entrare nel Regno di Dio: l’acqua, cioè il Battesimo e poi lo Spirito Santo che permette di far maturare in noi la fede. Questo è quanto Gesù disse a Nicodemo. L’uomo terreno, con le sue povere risorse, è incapace di vedere, di capire, e di andare oltre l’apparenza e la materialità delle cose. Nella sua lettura del mondo e della storia, soprattutto dell’evento di Gesù, è sicuramente dubbioso, superficiale e riduttivo. Tuttavia, con l’aiuto dello Spirito Santo, egli diviene capace di attuare una lettura della realtà, che trascenda la materialità rispetto a ciò che lo circonda. Una tale rigenerazione, operata dallo Spirito, è invisibile allo sguardo umano, così come è il vento: lo si riconosce non perché si vede, ma per gli effetti che esso produce: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va” (Giovanni 3:8). La rigenerazione dall’alto rimane un evento intangibile, così come divina è la forza di Colui che la compie.

3. Parlando dell’adozione, il Nuovo Testamento usa il termine greco aihotesia. Ed è con questo lemma che nelle categorie teologiche cristiane, si intende l’atto benevolo di Dio, con il quale colui che ha creduto nel sacrificio di riscatto di Gesù, viene adottato spiritualmente dal Padre celeste. La Scrittura attesta che chi ha preso la decisione di seguire Cristo, ed ha ricevuto lo Spirito Santo in seguito al battesimo, è diventato realmente figlio del Padre del cielo. In Giovanni 1:12-13 è scritto che “a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma sono nati da Dio”. Si tratta quindi di una figliolanza generata spiritualmente, successiva alla nuova nascita. In Giovanni 16:13, Gesù identifica lo Spirito Santo, come guida dei cristiani: “Quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire”. Ed infatti Romani 8:14 attesta che “tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio sono figli di Dio”. Inoltre, dato per certo che il tema conduttore della Bibbia, è il sacrificio di riscatto e ciò a partire, come già detto, dalla prima profezia della Parola di Dio (Genesi 3:15), notiamo che tale redenzione rende possibile assumere la condizione e la posizione di vero figlio: “lo dico: finché l'erede è minorenne, non differisce in nulla dal servo, benché sia padrone di tutto; ma è sotto tutori e amministratori fino al tempo prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo bambini, eravamo tenuti in schiavitù dagli elementi del mondo; ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione. E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: «Abbà, Padre». Così tu non sei più servo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio” (Galati 4:1-7).

4. Il concetto di adozione non compare nell'Antico Testamento, né in senso letterale, tantomeno in senso spirituale. La legge israelita non contempla una simile istituzione. Nel Nuovo Testamento, il concetto di adozione costituisce una categoria teologica prettamente paolina, perché ricorre solo in Romani 8:15,23 e 9:4, in Galati 4:5 ed in Efesini 1:5. Paolo sceglie, sicuramente ispirato al sistema delle leggi romane del suo tempo, un'immagine forense. Nella società greca e romana, l'adozione costituiva (almeno nelle classi più elevate), una pratica relativamente comune. Ed in quel tipo di legislazione, gli adottati erano sottoposti al pater familias. L'adozione conferiva diritti, ma comportava anche una lista di doveri. Così con Dio. La ragione di tale adozione è data in Efesini 1:5 "avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà". Concludendo, l'adozione spirituale su cui stiamo ragionando, è una concessione che Dio decide liberamente di offrire per  amore, a uomini e donne che comunque non lo meriterebbero. E ciò è solo il frutto inestimabile della sua grazia. In ultimo, non dimentichiamo che l'adozione ha anche un rilievo futuro, perché include altresì, l’atteso perfezionamento del nostro corpo, come era all’origine della creazione, prima del peccato con le sue nefaste conseguenze: "… anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo (…) aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo" (Romani 8:23). In tal modo, l’adozione rappresenta sia una realtà attuale che futura.

BATTESIMO

1. La parola battesimo, deriva dal greco baptizo, declinazione del verbo baptìzein, che significa immergere. Il battesimo cristiano, descritto nel Nuovo Testamento, veniva amministrato esclusivamente a credenti adulti, mentre il battesimo dei bambini, è posteriore rispetto alla sua istituzione, perché verrà praticato diffusamente solo a partire dal IV secolo, in coincidenza con l’inizio del cristianesimo post-costantiniano. E fuori dubbio che il battesimo, rimanendo un atto consapevole di adesione personale, necessiti chiaramente dell’esercizio della fede consapevole (intelligo ut credam), nella direzione del sacrificio di riscatto di Gesù Cristo. Esso è il segno della salvezza che viene accolta nell’obbedienza agli insegnamenti della Rivelazione di Dio: “Quelli che accettarono la sua parola vennero battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone” (Atti 2:41). All’interno della dinamica della conversione, come abbiamo già esaminato in precedenza, il cambiamento di vita viene simboleggiato anche attraverso la richiesta a Dio di una buona coscienza personale. Ed è proprio tale mirata espressione che viene utilizzata in 1 Pietro 3:21 “Quest'acqua era figura del battesimo (che non è eliminazione di sporcizia dal corpo, ma la richiesta di una buona coscienza verso Dio). Esso ora salva anche voi, mediante la risurrezione di Gesù Cristo”. Il battesimo cristiano, è parte fondamentale dell’inizio del cammino di salvezza.

2. Il vangelo di Marco 1:8 in relazione a questo sacramento, riporta la terminologia usata da Giovanni Battista a citazione della frase legata al seguente concetto: “Io vi ho battezzati con acqua, ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo”. In realtà, con questa definizione egli volle illustrare la differenza intercorrente tra il battesimo di Giovanni praticato nel Giordano, rispetto al battesimo istituito dal Messia. Quello di Giovanni, era semplicemente l’atto esteriore dell’avvenuto ravvedimento da parte dell’uomo (Marco 1:4), mentre il battesimo di Gesù era ulteriormente e definitivamente sigillato con lo Spirito. Una raffigurazione di tale verità, possiamo notarla quando Gesù venne battezzato da Giovanni stesso, secondo il racconto di Matteo 3:16 che riporta: “E Gesù, appena fu battezzato, uscì fuori dall'acqua; ed ecco i cieli gli si aprirono, ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui”. Essere battezzati con lo Spirito Santo significa, come si è detto, riceverne il sigillo, in armonia con i versetti di Efesini 1:13-14 che dice: “In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria". Il battesimo, fa parte di una delle due ordinanze stabilite dal Messia, affinché fossero praticate correttamente nella Chiesa autenticamente cristiana: “Andate dunque, e fate discepoli di tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Matteo 28:19).

3. Sulla diatriba del battesimo dei bambini (tecnicamente noto come “pedobattesimo”), l’attuale predicatore della Casa Pontificia, Padre Raniero Cantalamessa, nel libro “Chiesa delle origini: battesimo degli adulti e Santa Cena”, ammette che “...La più grande controversia riguardante il sacramento del battesimo risiede nella questione relativa alla legittimità o meno di battezzare i neonati. Quello che possiamo storicamente concludere è che tale prassi si è stabilita nel corso del II e III secolo”. I difensori del battesimo dei bambini, citano alcune scritture in cui compare il vocabolo “casa”. Ecco alcuni esempi: in 1 Corinzi 1:16 in cui si menziona  un battesimo dove sarebbe stata coinvolta tutta “la casa di Stefana”; in Atti 16:15 per “Lidia e la sua casa”; in Atti 16:33 con la citazione del battesimo del guardiano della prigione di Filippi assieme alla sua “casa”; ed ancora in Atti 18:8 con la descrizione di Crispo, capo della sinagoga, battezzato anch’egli con la sua “casa”. Questi passi biblici, non sono dimostrativi del fatto che all’interno della casa, sinonimo di famiglia, venissero battezzati anche i neonati. Sarebbe stato impensabile che questo potesse avvenire, perché contrario agli insegnamenti di Gesù. Nel contesto storico della Chiesa neotestamentaria, non è mai stato praticato il battesimo dei bambini di pochi mesi.

4. Nel 1943 il famoso teologo protestante Karl Barth, in pieno conflitto mondiale, partendo dalla debolezza della Chiesa tedesca ufficiale, nei confronti del nazionalsocialismo, denunciò un cristianesimo più nominale che reale, criticando il battesimo dei bambini che aveva prodotto dei “cristiani” senza alcuna consapevolezza di esserlo. Barth lo fece con tre argomentazioni esposte nell’opera “La dottrina del battesimo nella Chiesa”:

A. Tutti i dati scritturali, indicano che il battesimo dei bambini non fosse praticato dalle prime Chiese, ma che sia divenuto “norma” solo nel periodo post-apostolico a partire dal 250 d.C.; pertanto non nel tempo in cui erano ancora in vita gli apostoli. Esso non ha fondamento biblico. Per le Chiese figlie della Riforma, la procedura descritta nei vangeli e negli altri brani del Nuovo Testamento, è normativa.

B. La prassi del battesimo dei bambini, ha condotto al disastroso presupposto per il quale gli individui sarebbero cristiani, come conseguenza diretta della loro nascita. In questa ottica, il pedobattesimo svaluta la grazia di Dio, e riduce il cristianesimo ad un semplice atto di adesione religiosa collettiva. E se così fosse, il battesimo cristiano diverrebbe il corrispondente della pratica della circoncisione abramitica, nella quale il bambino diventava ebreo dopo un rito che non aveva scelto.

C. Con il terzo ed ultimo punto, Barth sosteneva che il battesimo dei bambini annulla il collegamento tra discepolato cristiano, confessione di fede (Romani 10:9-10) e conseguente sacramento, perché esso segna l’inizio dell’accettazione umana nei confronti della grazia di Dio. Siccome i neonati non possono dare questo tipo di risposta in modo consapevole, il senso stesso del battesimo viene spiritualmente vanificato (Marco 16:15-16).

   5.Nelle prime comunità cristiane, il battesimo rappresentava il punto di arrivo di un percorso di formazione, durante il quale i catecumeni erano ammessi a partecipare solo alla prima parte del servizio di culto, ma non alla Santa Cena, momento nel quale essi venivano congedati. La consuetudine del battesimo dei bambini, secondo la storiografia moderna, inizierebbe invece a diffondersi successivamente (vedere G. Filoramo “Cristianesimo”, ed. Mondadori). L'equivoco è stato a lungo presente nella società europea, perché da quando il cristianesimo venne riconosciuto come fede ufficiale dell'Impero, esattamente nel IV secolo, il battesimo prese a coincidere con l'atto anagrafico della nascita. Infatti, non a caso i registri di stato civile iniziarono ad essere di competenza delle parrocchie, sino a tempi non molto lontani.

6. La storia del Protestantesimo, tramanda il racconto secondo il quale a Zurigo, la sera di un mercoledì del lontano 21 gennaio 1525, Konrad Grebel amministrò a Georg Blaurock, il primo battesimo da adulti, dopo un vuoto di circa 13 secoli. Ma fu nel Seicento, che gli evangelici della denominazione battista, restaurarono ufficialmente come Chiesa, il battesimo degli adulti. In un certo senso, la posizione legata al battesimo degli infanti, si basa su una particolare comprensione della funzione dei sacramenti in generale, e del battesimo in particolare. In un dibattito di lunga data, ci si domanda se i sacramenti abbiano valore causativo o dichiarativo. Cioè, causano la grazia o dichiarano una grazia già ottenuta, ancor prima di ricevere il sacramento medesimo? Ovviamente, è ragionevole concludere che il battesimo degli adulti trovi la propria giustificazione in senso dichiarativo e testimoniale. E ciò perché esso esprime una pubblica dichiarazione di fede, da parte della persona che scende nelle acque battesimali, senza che ciò produca alcuna grazia. La Southern Baptist Convention, tramite la riflessione di uno dei suoi maggiori leader del passato, Benjamin Harvey Carrol (1843-1914), stabilisce i quattro requisiti che devono essere presenti affinché il battesimo sia biblicamente corretto:

A. Deve essere amministrato dall’autorità riconosciuta, cioè un ministro stabilito dalla Chiesa.

B. Deve essere ricevuto dal soggetto appropriato, vale a dire il credente ravveduto: la conversione precede il battesimo.

C. Deve essere amministrato in maniera corretta: il battesimo avviene mediante l’immersione totale in acqua, salvo casi eccezionali.

D. Deve essere l’inizio di un progetto per la vita: il battesimo rimane un sacramento simbolico; in nessun caso bisogna credere che rappresenti un traguardo finale raggiunto dalla persona battezzata.

7. Ad Antiochia di Siria, che per altro era la città dalla quale proveniva Luca, tra il 50 ed il 70 d.C., venne redatto un manuale per il culto ad uso delle prime comunità cristiane, dal titolo Didachè. Tale testo, di cui si persero le tracce, costituì un vera e propria guida per gli atti spirituali, all’interno della giovane Chiesa. Esso fu riscoperto, dopo diciotto secoli, in una vecchia miscellanea nel 1873, dal metropolita greco ortodosso Philotheos Bryennios. Ed in merito al primo sacramento dell’iniziazione cristiana, è scritto:  “…Riguardo al battesimo, battezzate così: avendo in precedenza esposto tutti questi precetti, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in acqua viva. Se non hai acqua viva, battezza in altra acqua; se non puoi nella fredda, battezza nella calda. Se poi ti mancano entrambe, versa sul capo tre volte l’acqua in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.” Concludiamo questa sezione dedicata al battesimo, con il passo di Marco 16:15 già precedentemente menzionato, perché funzionale ad illustrare la scelta adulta e cosciente, legata al battesimo stesso: “…Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo ad ogni creatura: chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato, ma chi non avrà creduto sarà condannato”.

SANTA CENA

1. Secondo i vangeli, la Cena del Signore rappresenta tre realtà: un comando, un atto di comunione e un gesto di commemorazione: “fate questo in memoria di me” (Luca 22:19). Essa venne istituita direttamente da Gesù, perché fosse una seconda ordinanza da osservarsi nella Chiesa, da parte di tutti i battezzati. Nella sua celebrazione, vuole raffigurare gli elementi del corpo di Cristo, secondo l’assioma “carne e sangue” simboleggiati da pane e vino. Poiché la Cena del Signore rappresenta un gesto di intima comunione con Cristo, ad essa parteciperanno solo coloro che hanno confessato e testimoniato, col battesimo, la loro fede nel sacrificio del figlio di Dio. Nell’accesso alla Santa Cena, occorre discernere nel pane e nel vino, le semplici immagini del corpo e del sangue di Gesù (1 Corinzi 11:29). In 1 Corinzi 11:23-26, l’apostolo Paolo descrive la Santa Cena come un’ordinanza ricevuta dal Signore; ed è proprio in questa pagina della lettera, che egli detta il modo in cui la Santa Cena doveva essere celebrata, avvertendo quei primi cristiani intorno al pericolo derivante da disordini nel suo svolgimento. Nel ricordo dell’ultima cena di Pasqua, osservata da Gesù coi suoi apostoli, ancora oggi la Chiesa riunisce tutti i credenti nel giorno del Signore, perché siano in comunione tramite il pane ed il calice (1 Corinzi 10:16-17). Difatti, fu Gesù stesso ad indicarne la celebrazione nella comunità cristiana, fino alla sua seconda venuta (1 Corinzi 11:26, Matteo 26:26-29). Poiché la Cena del Signore è uno dei due sacramenti della Chiesa, istituiti direttamente dal Messia, occorre anche sapere che nel cattolicesimo per tutto un arco di tempo che spaziò dall’era sub-apostolica sino al 1150, essi potevano variare fino ad un massimo di dodici, a differenza dei sette attuali, come sanciti dalla dottrina cattolica. E vi era anche incertezza su cosa dovesse essere considerato come sacramento.

2. Intorno al 1159, ben prima della Riforma protestante, Pietro Lombardo vescovo di Parigi, definì e formalizzò nell’opera “I quattro libri di sentenze”, i sette sacramenti come oggi sono praticati nel cattolicesimo: battesimo, eucaristia, cresima, matrimonio, ordinazione sacerdotale, confessione, estrema unzione. Per contro, i Riformatori avevano lanciato un deciso attacco alla concezione salvifica dei sacramenti, ed in particolare all’eucarestia, proprio per la sua profonda incorporazione nel rito della “messa”. E qual è il senso della messa? In questo tipo di liturgia, si celebra un vero e proprio rituale di sacrificio, definito eucaristico, per il quale occorre la presenza del sacerdote.  Dal fronte opposto, la Riforma e la consuetudine evangelica, opereranno un traghettamento dalla “messa e sacrificio” alla Santa Cena o Cena del Signore, così com’era in origine. E nell’attuare tale operazione, il primo e vero cambiamento, fu quello di concedere nuovamente l’assunzione del vino ai fedeli. Ma è interessante sapere che anche nel cattolicesimo stesso, un tempo lontano, veniva concessa l’assunzione del vino ai laici. L’opera devozionale “Massime Eterne”, testo pubblicato nel 1959 a cura delle edizioni “Messaggero di S. Antonio”, a tal riguardo ammette: “Fino al dodicesimo secolo, i fedeli facevano la S. Comunione sotto tutte e due le specie, passandosi il calice e ricevendo dal diacono il corpo di Cristo”.  Per cui, fino al 1100 la prassi generale fu quella di consentire a tutti i partecipanti della messa di ricevere sia il pane consacrato che il vino. Poi  la procedura si trasformò in quella attuale e più nulla cambiò. Ed è per questo motivo che il pre-riformatore boemo Jan Huss, già nel 1410, concedendo il calice ai fedeli, fece di tale atto la bandiera della Riforma in Boemia. Inoltre, secondo l’opinione di Lutero, da un punto di vista neotestamentario, la pratica di offrire ai fedeli solo il pane era assolutamente ingiustificata. Riporto una sua frase scritta nel libro “La cattività babilonese della Chiesa”: “Vedi chiaramente che il sangue di Cristo è dato per tutti coloro a beneficio dei quali è stato versato. Chi avrebbe il coraggio di dire che non è stato sparso per i laici? Non vedi a chi si rivolge dando il calice? Non forse a tutti?”. L’atteggiamento di Lutero, acquistò una tale rilevanza che la pratica di offrire il calice a tutti i fedeli, divenne un segno distintivo delle Chiese nate dalla Riforma protestante. Avendo già chiarito che con l’atto della Santa Cena non si ripete alcun sacrificio, chiediamoci inoltre, se davvero gli elementi del pane e del vino, possano trasformarsi realmente in carne e sangue, pur rimanendo intatte le fattezze esteriori. Se ciò dovesse avvenire, ci troveremmo di fronte ad un fenomeno di transustanziazione, ovvero una sostanza che trasforma letteralmente da sé la propria materia. Ebbene, nel 1215 il cattolicesimo romano riunito nel quarto Concilio Lateranense, definì come dogma tale credenza. La difficoltà che nasceva dallo spiegare come mai gli elementi del pane e del vino non mutassero forma e gusto, venne superata da un ragionamento filosofico ed anche contorto, risalente al XIII secolo ed originatosi nella mente di Tommaso D’Aquino. Egli, esponente della filosofia nota come Scolastica, refuso di idee aristoteliche e religiose, con un sofisma distingue la “sostanza” (carne e sangue) dalle caratteristiche fisiche esteriori, definite “accidenti”, le quali non cambiano aspetto. Ed ecco risolto il dilemma.

3. Lutero, invece, parlava di consustanziazione. Egli faceva l’esempio del fabbro ferraio della sua epoca che con la fiamma rendeva incandescente il ferro di cavallo, per poterlo modellare sullo zoccolo. Similmente, nella Santa Cena il pane ed il vino, così come il ferro, si “scaldano” ma non mutano la loro sostanza, diventando qualcos’altro. E quindi la presenza di Cristo in questa immagine, è paragonabile al fuoco che scalda la materia del ferro, senza che ciò comporti una sostanziale trasformazione del metallo, ad esempio, in un farinaceo. Ed è per questo che Lutero, definiva tale processo con la parola consustanziazione, lemma che si assommava ad altre validazioni, come il concetto di presenza solo spirituale (Calvino) o esclusivamente simbolica (Zwingli). Al di là di tutte queste considerazioni, personalmente preferisco usare l’espressione di transignificazione, ossia cambiamento di significato e di concetto, rispetto al pane e al vino. Se tale inusuale parola fosse applicata alla comprensione verso gli emblemi della Santa Cena, credo che il tutto sarebbe molto più comprensibile; e questo perché le nostre attuali menti razionali, non sono così cavillose ed elucubranti come le teste nobili della filosofia antica che, tanto per usare una metafora, spaccavano verticalmente il capello in quattro. Un’ultima riflessione. Gesù disse: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue” (Matteo 26:26-28). Come recepire tali affermazioni? Nel greco antico, l’indicativo presente del verbo essere, è reso col termine estin. Ma il fatto che Gesù abbia usato tale declinazione verbale, si può spiegare ragionevolmente solo con l’idea della metafora. Ad esempio, se Gesù in Giovanni 10:9 dice “Io sono la porta”, dovremmo concludere letteralmente che egli sia davvero un serramento fisso con telaio, maniglia e vetro? Per lo stesso motivo, il pane non può essere inteso letteralmente come il corpo di Cristo, perché lo rappresenta in maniera esclusivamente immaginativa: Gesù non è una porta, ma raffigura la porta. Pane e vino sono solo segni (dal latino signum), e come tali “significano” qualcosa, pur non “essendo” qualcosa.

4. Concludiamo con la citazione di una antichissima testimonianza, datata 155 e scritta da Giustino Martire, nella quale egli racconta il modo in cui veniva celebrato il culto domenicale, con la Santa Cena:  “Nel giorno del sole (dies domini) la domenica, tutti quelli che abitano in città o in campagna si riuniscono nello stesso luogo e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo permette. Quando il lettore ha finito, colui che presiede tiene un discorso per ammonire ed esortare a mettere in pratica questi buoni esempi. Poi, tutti insieme ci leviamo ed innalziamo preghiere. Finite le preghiere, ci abbracciamo con uno scambievole bacio. Quindi, vengono portati a colui che presiede l’assemblea, il pane e il vino. Egli li prende, loda e glorifica il Padre di tutti nel nome del Figlio e dello Spirito Santo…Dopo, i diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane ed il vino su cui si è reso grazie”. 

SANTIFICAZIONE

1. La parola santo deriva dal termine ebraico quadash e dal greco hagios. In entrambi i casi, il significato è legato ad un oggetto o a una persona che viene consacrata a Dio, separata o messa a parte.  I veri santi, sono menzionati nella Bibbia, come persone vive. Ecco l’esempio tratto da alcuni passi biblici: "…Signore, ho sentito dire da molti di quest’uomo, quanto male abbia fatto ai tuoi santi in Gerusalemme" (Atti 9:13); "avvenne che mentre Pietro andava a far visita a tutti, si recò anche dai santi residenti a Lidda" (Atti 9:32); "questo infatti feci a Gerusalemme; e avendone ricevuta l’autorizzazione dai capi dei sacerdoti, io rinchiusi nelle prigioni molti santi…” (Atti 26:10); "Salutate ognuno dei santi in Cristo Gesù…" (Filippesi 4:21). Nella Scrittura, il plurale del termine santo, compare in ben 68 occasioni. Nel suo significato, questo vocabolo esprime il passaggio da uno stato di peccato ad una condizione di grazia. La santificazione, promuove l’inizio di un processo di maturazione spirituale, in maniera crescente e continua. Non bisogna assolutamente confondere la santificazione, con la canonizzazione di speciali persone defunte festeggiate dalla chiesa cattolica o anche da quelle ortodosse; nel loro caso, si dichiarerebbe la santità di una persona non più in vita, per la quale sono autorizzati il culto e la venerazione. Invece, secondo l’insegnamento della Parola di Dio, si è santi, ovvero separati, consacrati, distaccati dal peccato, mentre si è in vita e non da morti. Con una piccola divagazione argomentativa, diciamo che anche la festa dell’ onomastico, è legata al giorno in cui, come da calendario, si ricorda e si fa memoria della personalità e della vita del santo che porta il nostro nome. E ciò non solo non ha nessuna giustificazione scritturale, ma rappresenta anche una pratica idolatrica.

2. In Ebrei 12:14 è scritto: “Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore”. Quindi, la condizione essenziale per vedere il volto di Dio, è legata altresì alla ricerca della santificazione, perché non si può vivere un cammino cristiano piatto e sterile, privo di quei necessari frutti interiori che siamo chiamati a produrre, con slancio e con zelo. In Marco 11:12-14 è riportato il curioso incontro di Gesù con un fico improduttivo, paragonabile a un cristiano sterile: “La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. E gli disse: «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti». E i discepoli l'udirono”. In Romani 6:22 è scritto: “Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la santificazione e per fine la vita eterna”. Questo è il motivo per il quale il credente non può rimanere immobile in una fissità interiore, perché la dinamica della fede, è rappresentata da una azione tesa alla meta finale che è quella della vita eterna, proprio come l’apostolo Paolo dichiara, alla chiusura del verso che abbiamo appena letto. Sarà per tale ragione che 2 Corinzi 7:1 dice: “Poiché abbiamo queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio”. In 1 Tessalonicesi 5:23 la Scrittura dice: “Or il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l’intero essere vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo”.

3. Quindi, il cammino di santificazione, deve coinvolgere tutta la nostra persona. Difatti, gli esseri umani si compongono unitariamente di tre parti distinte, il corpo, l’anima e lo spirito. Nel quadro di questo insieme, che forma l’individuo, Paolo descrive un tipo di santificazione che proviene dal Signore, relazionata ad una condotta il più possibile confacente alla sua volontà. Essa attiene all’aspetto più profondo dello spirito, che è la parte trascendentale in noi, della nostra anima (in greco psyché, mente) e del nostro corpo.  Una bella definizione di cosa sia la santificazione in termini pratici, è quella esposta dal pastore Sergio Carile, che la descrisse in questo modo: “La santità, meta del mio cammino spirituale, retroagisce (per mezzo dell’esperienza cosciente che io ne faccio), sul mio comportamento, che ne viene così modificato, in ordine al processo di santificazione”. Esiste una relazione intercorrente tra grazia e santificazione, che è ben illustrata in una famosa  pagina del vangelo. Siamo in Giovanni 8:3-11 ove è scritto: “Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna colta in adulterio; e, fattala stare in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?» Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. E, siccome continuavano a interrogarlo, egli, alzato il capo, disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. Gesù, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; va' e non peccare più». Nelle ultime parole di questo racconto, Gesù collega il legame tra grazia e santificazione, perché nel dire “neppure io ti condanno”, il Messia pronuncia parole di perdono, mentre nel raccomandare “va’ e non peccare più”, egli esorta la donna a prendere per bene le distanze dal peccato, per avviarsi nel cammino della santificazione medesima. Ed ecco che in questo modo si offre al credente la possibilità di maturare una grazia santificante alla luce della volontà dell’Eterno, espressa nella sua Parola.

PERSEVERANZA

1. Il significato spirituale del verbo greco hypomèno, tradotto con l’italiano perseverare, compare a titolo d’esempio, in Matteo 10:22 e 24:13, nel contesto della frase “ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato”. Tuttavia hypomèno, nella sua traduzione, può essere reso anche con  espressioni come  restare saldi o essere forti. E quindi il relativo sostantivo hypomonè, si può applicare tranquillamente ad una persona che con perseveranza coraggiosa, forte e paziente, non si abbatte di fronte a ostacoli o persecuzioni. Nel nostro caso, chi è spiritualmente perseverante, non si fa ingannare dai fugaci e illusori piaceri della vita terrena. Fra le cose che i credenti possono dover affrontare, a motivo della loro scelta religiosa, ci sono l’indifferenza altrui, l’intensa ostilità o la disapprovazione da parte dei familiari; oppure ancor peggio, nei paesi in cui vige la persecuzione, i cristiani sono chiamati a perseverare nella fede davanti a maltrattamenti, imprigionamenti e morte, realtà che in diversi luoghi sono all’ordine del giorno. Ecco perché è necessario, in maniera anticipata, attrezzarsi di totale perseveranza. Senza questa qualità essenziale, non si può ottenere la vita eterna; perché tale è il senso del versetto di Apocalisse 2:10 che dice: “Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita”. Ciò che ha pregio, infatti, è la fedeltà nel tempo in relazione al patto battesimale che si è stipulato con Dio, nel nome di Gesù. Non conta l’entusiasmo iniziale con cui il discepolo può aver iniziato il suo cammino cristiano: il credente non è un velocista, ma un maratoneta su lunghissime distanze. Gesù Cristo disse: “Con la vostra costanza (sinonimo di perseveranza) salverete le vostre vite” (Luca 21:19).

2. Immaginiamo una nave che stia affondando. Per salvarsi, i passeggeri devono nuotare fino alla riva. Se una persona, dopo qualche bracciata si stufasse di nuotare, che fine farebbe? Affogherebbe! E se si arrendesse a poche bracciate dalla terra ferma? Farebbe la stessa fine: affogherebbe! Quindi, se vogliamo ottenere il premio della vita eterna, dobbiamo avere lo stesso sentimento dell’apostolo Paolo, che disse: “Perciò, avendo noi tale ministero in virtù della misericordia che ci è stata fatta, non ci perdiamo d'animo…” (2 Corinzi 4:1). Sapendo che il futuro eterno di ciascuno dipende, sempre col sostegno dello Spirito Santo, dal perseverare, i cristiani non dovrebbero sentirsi sconfitti da prove e tribolazioni. E nemmeno commiserarsi o inasprirsi davanti alle fatiche del cammino terreno, perché nulla avrà il potere di allontanarci dalla comunione col Signore, senza il nostro consenso. Paolo, in merito alle grandi avversità della vita, scrive: “Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (…) Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati.  Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 8:35, 37-39).  Le prove sopportate con pazienza e tenacia, rivelano che il cristiano possiede la necessaria qualità della perseveranza. E se la prova dovesse minacciare la sussistenza della nostra fede, ricorderemo le parole di 1 Corinzi 10:13 in cui è scritto: “Nessuna tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate sopportare”. In Giacomo 1:4 leggiamo: “E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti”. La costanza, che fa il paio con la perseveranza, produrrà una fede raffinata, con un potere che sarà reso manifesto in termini di risultati. Nella vita del cristiano, potranno affiorare eventuali lati deboli, e ciò consentirà al soggetto di individuarli e fare i necessari miglioramenti. Le prove fedelmente sopportate, forgiano il carattere della persona rendendola più paziente, compassionevole e comprensiva verso i propri simili. Le molte difficoltà che affrontiamo nella vita, potranno essere risolte, mentre altre saranno difficili da comprendere e impossibili da superare, perché ci seguiranno fino a quando non passeremo da questa vita a quella futura. Avendo la tenacia di sopportare gli eventi critici che si possono risolvere, avremo altresì la possibilità di continuare a vincere anche su quelli che non trovano soluzione, poiché ciò che è importante consiste nel ricordare che la forza spirituale che svilupperemo, ci aiuterà in tutte prove che saremo chiamati ad affrontare nel corso della nostra vita. In tale panorama, la preghiera sarà il nostro grande sostegno.

   3.E a questo punto, una domanda si pone: perché il nutrirsi della Parola di Dio è così essenziale in relazione alla perseveranza? Facciamo un esempio molto semplice e chiaro. Per arrampicarsi sulla montagna più alta del pianeta, l’Everest (8.848 metri sul livello del mare), uno scalatore ha bisogno di circa 6.000 calorie al giorno, cioè molte di più rispetto a quelle che servono solitamente ad un sedentario, per la sua alimentazione quotidiana. E quindi, tale scalatore, volendo raggiungere il suo obiettivo, dovrà  assumere una quota di calorie molto maggiore, rispetto a chi lavora in ufficio. Così anche noi, se vogliamo perseverare fino a conquistare il nostro traguardo, avremo bisogno di molto cibo spirituale supplementare, nei momenti in cui ci dovessimo trovare a scalare la simbolica montagna di una prova. Dobbiamo essere determinati nel rimanere quotidianamente in comunione con Dio, e settimanalmente con la Chiesa. Così potremo garantire a noi stessi ciò di cui abbiamo realmente bisogno, per mantenere forte la nostra fede: “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo” (Giovanni 6:27). Un altro valido suggerimento spirituale che può essere offerto, per quanto riguarda la perseveranza nel nostro rapporto col trascendente, risiede nel concentrarsi sulle benedizioni che Dio ha in serbo per noi. Immaginiamo di fare un viaggio in macchina. A un certo punto entriamo in una lunga galleria. Si, proprio una galleria di quelle che sembra non finiscano mai. È buio dappertutto, ma sappiamo che continuando a percorrerla, al suo termine vedremo di nuovo la luce: la vita è come questo viaggio in galleria! Ci saranno certamente momenti difficili, nei quali potremmo sentirci schiacciati dai problemi e dall’ansia. Sicuramente anche Gesù si sentì così, al pensiero della croce che lo attendeva. Ricordiamo l’esperienza del Getsemani: “In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra” (Marco 22:44). Quello fu sicuramente il momento più buio della sua esistenza terrena. Cosa lo aiutò a perseverare? Ebrei 12:2 dice: “…Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio”. Bisogna imparare, riuscendoci, a guardare in avanti, senza miopie psicologiche e spirituali. Sappiamo che le prove sono temporanee, ma la ricompensa in cielo è eterna. La nostra capacità di perseverare sino alla fine, in rettitudine, sarà direttamente proporzionale alla profondità della nostra conversione. Dio, nel suo amore e nella sua giustizia, lancia il segnale con il quale concludiamo il tema della perseveranza, che suona così: “ma il mio giusto per fede vivrà; e se si tira indietro, l’anima mia non lo gradisce” (Ebrei 10:38). 

CHIESA

1. Leggendo le pagine del Nuovo Testamento, notiamo che la Chiesa si presenta come l’assemblea dei credenti, accomunati dalla stessa fede in Cristo. Secondo il genuino insegnamento della Parola di Dio, la comunità cristiana deve rispecchiare questo tipo di realtà, in quanto il concetto di Chiesa come “istituzione gerarchico-sacramentale” non appartiene al cristianesimo neotestamentario. Un simile sistema di potere, si è sviluppato gradualmente solo al termine delle persecuzioni, grazie alla svolta costantiniana all’inizio del IV secolo, per poi formarsi sul modello caratteristico dell’Impero romano. Nella concezione protestante, le varie aggregazioni assemblearmente organizzate (ekklesiae), vengono definite “chiese locali”, come frutto della ramificazione dell’unica Chiesa restaurata dai fondamenti  cardine della Riforma. Le comunità cristiane, accogliendo in esse persone volontariamente associate, si adoperano per ricalcare lo spirito che animava la Chiesa antica, priva di sovrastrutture, caratterizzata dalla semplicità nello svolgimento del culto e nutrita da relazioni fraternamente significative. Presso quella che fu la prima Chiesa di Cristo, si associarono inizialmente tremila persone (Atti 2:41) oltre ai centoventi discepoli che le precedettero, sui quali discese lo Spirito Santo che era stato promesso da Gesù (Atti 1:8,15). Di essi si dice: “...Erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere” (Atti 2:42).  Ed ora leggiamo la proclamazione solenne del figlio di Dio, espressa per indicare una sua precisa volontà riguardante la Chiesa futura: “Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E anch'io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'Ades non la potranno vincere. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai suoi discepoli di non dire a nessuno che egli era il Cristo” (Matteo 16: 17-20). L’adempimento di questa dichiarazione predittiva, si realizzò il giorno di Pentecoste nella capitale giudaica, perché lì nacque la prima Chiesa e non a Roma! Ed inoltre, per il rispetto dovuto alla verità dei fatti storici, ricordiamo che fu Giacomo e non Pietro, a guidare la nascente comunità in Gerusalemme. Questo sia detto a onor del vero, in contrasto con la pretesa della chiesa cattolica che vede nella città di Roma, in Pietro e nei suoi sedicenti successori, i cosiddetti papi, i legittimi detentori della catena apostolica. Per rinforzare tale teorema, il cattolicesimo esibisce una sorta di “certificato di garanzia”, che attesterebbe, attraverso un’opinabile “successione apostolica” che la chiesa cattolica romana sia l’unica vera depositaria del mandato di Gesù. E’ interessante notare come nel testo greco, si compia una distinzione rispetto a quello che potrebbe sembrare un semplice gioco di parole circa il nome di Pietro, in relazione al sostantivo pietra! Ecco in realtà il passo corretto delle due espressioni: “E io, dunque, ti dico che tu sei un sasso (greco: pétros, Pietro l’apostolo), e sopra questa roccia (greco: pétra, riferita a Gesù) io edificherò la mia chiesa, e le porte dell’Ades non la vinceranno” (Matteo 16:18). Ad esempio, sapendo che la pietra angolare è l’elemento fondamentale che forma l'angolo esterno di un edificio (e questo nel punto d'incontro di due muri per mantenerli uniti), il fatto che Gesù sia chiamato "la pietra angolare, sulla quale l'edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore" (Efesini 2:21), sta ad indicare che è il Messia la pietra stessa su cui trova fondamento la Chiesa di Dio, e non Simon Pietro, umile pescatore della Galilea. Su Gesù, che è il fondamento, si trovano poggiate altre pietre, in primo luogo gli apostoli e i profeti, come si legge in Efesini 2:20 e poi a seguire tutti i credenti secondo ciò che è scritto: "Anche voi, come pietre viventi, siete edificati qual casa spirituale, per essere un sacerdozio santo per offrire sacrifici spirituali, accettevoli a Dio per mezzo di Gesù Cristo" (1 Pietro 2:4-5). Ed ecco che il famoso passo di Matteo 16:17-20, che il cattolicesimo usa per giustificare il papato e il vicariato di Cristo (dimenticando il concetto della “pietra angolare”), trova la sua vera dimensione nella scrittura Efesini 2:21 summenzionata. La Bibbia si spiega con la Bibbia, col supporto delle conferme storiche.

2. Nel volgere di pochi secoli, soprattutto a partire dall’editto di Milano del 313 d.C., la Chiesa comincia a trasformarsi in una potente organizzazione. Gradualmente si sviluppa una istituzione centralizzata e verticistica: il vescovo di Roma diventa più importante degli altri, fino a reclamare la supremazia, mentre la Chiesa, come già scritto, finirà col modellarsi sul disegno dell’Impero romano. Si realizzeranno due ranghi distinti, formati da clero e laicato, fino a costruire, con il clero stesso, una casta di potere gerarchico-sacramentale che farà sorgere una Chiesa ricca e potente. Ma un giorno, uno sconosciuto monaco dell’ordine degli agostiniani che era Martin Lutero (1483-1546), metterà in discussione quindici secoli di cristianesimo, Bibbia alla mano. Nel riformare la dottrina, e di conseguenza la Chiesa con le sue credenze, Martin Lutero scandagliò la Sacra Scrittura, e lo fece col suo tipico rigore da tedesco, analizzando esattamente quelle lingue bibliche originali che da docente di Sacra Scrittura, conosceva alla perfezione. Nel periodo in cui nacque la Riforma, e specialmente col concilio di Trento (1545 - 1563), quindi      qualche decade più avanti, il cattolicesimo per difendere se stesso, andava sostenendo che gli Evangelici non potevano ritenersi “Chiesa” perché mancanti della catena di successione apostolica. E a riprova di ciò, ancora dopo circa cinquecento anni da quel concilio, il 5 settembre 2000 l’allora papa Karol Woityla presentava una enciclica dal titolo Dominus Iesus. In essa si argomentava ulteriormente sull'unicità e dell'universalità della chiesa cattolica, perché fondata da Cristo, su di un supposto ministero “petrino-papale”. Ma nella visione della Riforma protestante, ciò che più premeva a Lutero, risiedeva nello stabilire i tre princìpi di derivazione biblica, che saranno i pilastri portanti a sostegno della svolta: Sola Gratia, Sola Fide, Sola Scriptura, ai quali si aggiungeranno anche il Solus Christus ed il Soli Deo Gloria. Secondo questi tre concetti, tutto ciò che il credente riceve è ottenuto esclusivamente per grazia, tramite la fede. E ciò che non venga chiaramente indicato nella Bibbia, non potrà essere oggetto di dottrina, perché non procede dall’ispirazione di Dio (2 Timoteo 3:16). Dopo Lutero e per la precisione nel 1535, fu la volta di Giovanni Calvino (1509-1564) il quale, con la pubblicazione dell’opera detta “Istituzione alla religione cristiana”, strutturò quella che divenne una concezione prettamente protestante, anche su come la comunità cristiana si sarebbe dovuta organizzare attraverso i ministeri del pastore, del dottore (dal latino docere, ovvero insegnare), dell’anziano e del diacono. Per quanto riguarda le pertinenze del pastore e del dottore, oggi in realtà sono assolte da una unica persona, quella del pastore, realizzando in tal modo il ministero “tripartito” del pastore, dell’anziano e del diacono. Partendo dai pochi elementi contenuti nel Nuovo Testamento, Calvino formulò due note essenziali ed imprescindibili per individuare la vera Chiesa: Sacra Scrittura rettamente predicata (dottrina) e corretta amministrazione di Battesimo e Santa Cena (ordinanze o sacramenti).

3. Di fronte all’ inottemperanza di tali requisiti, Giovanni Calvino concludeva che non conformandosi nemmeno ad una definizione così minimalista, il cattolicesimo perdeva le credenziali per essere definita come l’espressione di quel tipo di Chiesa pensata da Gesù. Ed insistendo, egli diceva:  “In qualunque luogo la parola di Dio sia rettamente predicata ed ascoltata, e i sacramenti amministrati secondo l’istituzione di Cristo, non possiamo dubitare che lì vi sia la Chiesa”.  Ciò che costituisce la Chiesa è il contenuto e non la forma. La prova che una comunità sia guidata dallo Spirito Santo, non può risiedere in una sorta di pedigree o genealogia legata ad una sedicente successione apostolica. Infatti, il cattolicesimo ha trasformato l’immagine di semplici apostoli in una sorta di casta di principi, ovvero i vescovi, mentre Pietro, umile e povero pescatore, si è ritrovato ad avere una serie di successori, quali monarchi in pompa magna che sarebbero stati i papi. Anche se può aver perso molta scenografia nei tempi moderni, il ministero petrino vicariale di Cristo, in quanto a pretesa di legittimità, rimane sempre fedele a se stesso. Ed in conclusione, balzando in avanti di qualche secolo, incontriamo nel 1860 Albrecht Benjamin Ritschl, grande biblista e professore presso le sedi accademiche di Tubinga, e poi di Gottinga. Egli sviluppò, in modo appassionato, il pensiero secondo il quale la vita del credente non possa prescindere dalla comunione con la vera Chiesa, fondata sulla Scrittura. Ritschl rilevava che la salvezza cristiana si sperimenta, come via maestra, nella aggregazione del discepolo alla comunità cristiana. E non perché quest’ultima debba mediare tra Dio e l’uomo, come mater et magistra (concetto cattolico), piuttosto perché la vera essenza del cristianesimo, può essere vissuta  nella sua pienezza, solo e concretamente all’interno di una comunità vivente. Non si può vivere la fede da credenti isolati. Basti pensare, ad esempio, alla stessa Santa Cena, che è un atto comunitario. Vorrei, a questo punto, riproporvi le stesse parole di Ritschl, come vengono esposte nell’opera “La dottrina cristiana della giustificazione e della riconciliazione”, vol. 3, cap. 2: “…Le benedizioni che sopraggiungono all’individuo, gli sono concesse soltanto in comunione con tutti gli altri ai quali è legato, tramite la medesima salvezza, nell’unità della Chiesa.” Questo è bene ricordarlo, contro l’eccessivo individualismo di fuga (Ebrei 10:24-25) che talvolta permea i moderni cristiani, dediti ad una spiritualità “fai da te”, e quindi eccessivamente personale. E concludiamo con le seguenti parole bibliche: “Ecco quant'è buono e quant'è piacevole che i fratelli vivano insieme! È come olio profumato che, sparso sul capo, scende sulla barba, sulla barba d'Aaronne, che scende fino all'orlo dei suoi vestiti; è come la rugiada dell'Ermon, che scende sui monti di Sion; là infatti il SIGNORE ha ordinato che sia la benedizione, la vita in eterno” (Salmo 133:1-3).

UN DIO IN TRE PERSONE

1. Aprendo la nostra considerazione a partire dalle Scritture ebraiche, potremmo notare che Dio è in rapporto con Israele, principalmente in qualità di Re e sovrano assoluto. Anche se l'idea di Dio come Padre può essere sottintesa, tale verità verrà focalizzata con maggior precisione solo nel Nuovo Testamento. Ad esempio, nel racconto dei quattro vangeli, Gesù vi si riferì spesso, come accadde per il famoso “Padre Nostro” (Matteo 6:9-13), nel quale egli insegnò ai discepoli ad appellarsi al Creatore, con termini affettuosi e non formali. Come Abbà, in aramaico, ossia "Padre mio", "Babbo" o "Papà"! L'enfasi del Messia in ordine alla sua speciale relazione con Dio, sottolinea l'importanza delle due nature distinte ma sostanzialmente unificate di Cristo e del Padre, in un incontro che porta all'unità della Trinità nella speciale relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Secondo la visione trinitaria, non è corretto dire che il Padre e il Figlio, in quanto alla divinità, siano due esseri separati, perché se così fosse, ciò rappresenterebbe l’espressione di un tipico concetto pagano, legato alle triadi mitologiche. L'affermazione cruciale della  fede cristiana, è che esiste un solo Salvatore nella persona di Dio. Tito 2:13 afferma come i cristiani stiano “aspettando la beata speranza e l'apparizione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro, Gesù Cristo”. Anche se il Nuovo Testamento non ha una dottrina sistematica e definita della Trinità in quanto tale, in esso si parla ripetutamente in termini di Padre, Figlio e Spirito Santo e quando ciò accade comprendiamo che avviene in modo così pregnante e organico, da dirigere ragionevolmente la mente umana verso una vera identificazione trinitaria dell’Essere supremo. La dottrina della Trinità, può essere riassunta nel modo seguente: "Il Dio Unico esiste in tre persone distinte e uguali nella sostanza, come Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, eppure non sussistono tre dei, ma un solo Dio”. Per i cristiani, Dio Padre di cui Gesù è l'incarnazione, non è affatto separato dal Figlio, né dallo Spirito Santo, proprio perché essi costituiscono la cosiddetta ipostasi. Tale termine di origine greca (hypostasis) si traduce con l’espressione concettuale di medesima sostanza personale. La concezione trinitaria, per la quale la natura di Dio implichi la presenza di tre persone in una relazione reciproca di eterno amore, è una caratteristica per la quale il cristianesimo si distingue dagli altri monoteismi. Infatti, all’Iddio della tradizione biblica, si affiancano anche la riflessione cristologica e la fede in quello Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio (in latino Filioque), così come promesso da Cristo ai suoi discepoli.

2. Il sostantivo Trinità fu coniato da Teofilo di Antiochia verso il 180 d.C., anche se alcuni ritengono che la paternità della parola, sia da attribuire a Tertulliano che iniziò ad usarla pubblicamente verso il 200 d.C. La dottrina trinitaria nella sua definizione dogmatica, venne perfezionata e raffinata a partire dal IV secolo, come conseguenza della disputa fra la Chiesa del primo cristianesimo e l'Arianesimo. Esso rappresentava un movimento che, al pari dei moderni Testimoni di Geova, negava la natura divina di Gesù. In questo tipo di analisi teologica, si inserisce il Credo niceno-costantinopolitano, come risultanza delle conclusioni del concilio di Nicea nel 325 d.C e successivamente, a distanza di cinquantasei anni, del concilio di Costantinopoli svoltosi nel 381 d.C. In tale Credo si dichiara che esiste un solo Dio, onnipotente, creatore “dei cieli e della terra”. Il Credo però, prosegue dichiarando che Gesù Cristo è "Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero", consustanziale a lui, vero uomo e vero Dio; e ciò nella affermata convinzione che lo Spirito Santo sia definibile come qui ex Patre Filioque procedit, ovvero, come colui che procede dal Padre e dal Figlio. Ed è per quest’ultima definizione, che gli ortodossi dai tempi del patriarca Fozio (seconda metà del IX secolo), rifiutano la verità biblica per la quale lo Spirito Santo proceda dal Padre e dal Figlio.

3. In questa logica, si viene a definire la principale dottrina che distingue il cristianesimo dalla religione ebraica, da cui esso è derivato. Poiché Dio si è svelato progressivamente all’umanità (Proverbi 4:18), e cioè in un primo tempo nell'esperienza di Israele, e poi nella venuta di Gesù come Dio incarnato, egli stesso ha donato a chi avesse creduto in lui lo Spirito Santo, sia come promessa di vita eterna sia come illuminazione circa la comprensione della sua Parola. Non fu solo per una curiosa coincidenza semantica, se lo scettico apostolo Tommaso, vedendo Gesù risorto, esclamò “Mio Signore e mio Dio!”. Ed infine, vi è una scrittura profetica dell’Antico Testamento, molto chiara e predittiva sulla medesima identità tra Gesù e Dio. Si tratta di Isaia 9:5, che profetizza così: “Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace”. Quindi, Dio ha inviato agli uomini il proprio Figlio, perché fosse donato a vantaggio della loro salvezza. In Giovanni 1:1, brano conosciuto dai biblisti con la dizione di Prologo giovanneo, leggiamo: “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio”. L’uguaglianza di sostanza e di essenza tra il Padre ed il Figlio è descritta in Giovanni 14:8 che racconta di un dialogo tra Gesù e Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me”. In Matteo 1:23 è riportata la citazione profetica di Isaia 7:14 dove il Messia viene chiamato Emmanuele, che significa “Dio con noi”. Una chiara attestazione di quella che teologicamente viene definita con la frase di “processione trinitaria”, la riscontriamo in Matteo 28:19 in cui leggiamo: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Lo stesso avviene in 2 Corinzi 13:13 in cui troviamo scritto: “La grazia del Signore Gesù Cristo e l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”. Ed ancora possiamo citare 1 Pietro 1:2 come versetto biblico illustrativo del legame trinitario, nel quale si afferma che i cristiani sono “…eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, a ubbidire e a essere cosparsi del sangue di Gesù Cristo: grazia e pace vi siano moltiplicate”.

4. E nel contesto delle tre persone divine, sussiste altresì lo Spirito Santo, che è la terza persona distinta ed unita ipostaticamente al medesimo Iddio. Alcuni movimenti religiosi paracristiani, come i già citati Testimoni di Geova, insegnano che la terza persona della Trinità sarebbe soltanto una forma di energia e di potenza (in greco dynamis). Diversamente, in Giovanni 14:26 leggiamo: “Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Gesù manderà lo Spirito e per indicarlo usa il pronome personale “egli”, perché considera lo Spirito Santo come ciò che è, ovvero una “persona”. Inoltre, il Messia dice che lo Spirito Santo verrà ad insegnare e a ricordare: queste sono azioni che solo un soggetto che abbia una mente consapevole può fare, e non di certo una evanescente manifestazione impersonale. Giovanni 15:26 afferma: “Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza.” Ancora una volta, Gesù usa il pronome personale “egli”, oltre al verbo “testimoniare” che è, quest’ultima, funzione propria di una persona dotata di ratio. In Giovanni 16:7-8, leggiamo: “Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio”. Gesù usa per l’ennesima volta, il pronome personale “egli” ed il verbo “convincere”. In quest’ultimo caso, la declinazione verbale illustra un’azione che può essere assolta, e lo ripetiamo con logica, solo ed esclusivamente da un essere pensante.

5. In merito a quella che viene definita dal popolo evangelico come “convinzione di peccato”, in Giovanni 16:8-9 è scritto: “Quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato”. Lo Spirito Santo guidando la sua Chiesa, ricorda sempre che Gesù è Dio e quindi merita onore e lode. Infatti, a lui dobbiamo la nostra adorazione, come pure viene compiuta dagli angeli del cielo secondo Ebrei 1:6 che dice: “Tutti gli angeli di Dio lo adorino”. Sempre in Giovanni 16:12-14 leggiamo: “Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà”. Gesù, durante la sua missione terrena, insegnò molte cose che non furono comprese, proprio a cominciare dagli apostoli. Per questo motivo, lo Spirito Santo che glorifica Gesù (solo una persona parla e glorifica), avrebbe fatto luce da Pentecoste in poi, circa quegli insegnamenti di Cristo che i discepoli non capirono precedentemente, ma che una volta compresi, annunciarono a tutti coloro che avrebbero desiderato camminare col Signore.

6. Non può mancare in questa nostra riflessione, un cenno veloce alla cosiddetta “bestemmia contro lo Spirito Santo”. Di essa si parla in Matteo 12:31-32 ove leggiamo: “Perciò io vi dico: ogni peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini; ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parli contro il Figlio dell'uomo, sarà perdonato; ma a chiunque parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questo mondo né in quello futuro”. Se la bestemmia contro lo Spirito Santo, non sarà perdonata né in questa vita né in quella futura, è bene sapere in cosa consista! Analizziamo il brano di Matteo alla luce di 1 Corinzi 12:3 che dice: “Perciò vi faccio sapere che nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: «Gesù è anatema!» e nessuno può dire: «Gesù è il Signore!» se non per lo Spirito Santo”. Solo sotto l'azione dello Spirito si può dire che Gesù è Dio, ossia il Signore, appellativo riferito sia al Padre che al Figlio. Il termine Signore, si traduce in ebraico con la parola Adonai mentre in greco è identificato con l’espressione Kyrios: il sostenere che Gesù non sia Dio, è ciò che costituisce la bestemmia contro lo Spirito Santo, bestemmia la quale non sarà perdonata né in questa vita, né in quella prossima: così disse il Signore.

7. Nel contesto trinitario, è assodata la verità per la quale è stato dal primo cristianesimo che la Chiesa avrebbe ereditato tutta una serie di testimonianze, circa la divinità di Cristo ed il suo legame col Padre e con lo Spirito Santo. Ci riferiamo ai cinque diretti seguaci degli Apostoli, come Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne, Papia di Gerapoli ed Erma di Aquileia. Poiché costoro, tra il 100 e 170 d.C. continuarono a propagare gli insegnamenti ricevuti direttamente da alcuni apostoli di Gesù, è chiaro che conoscessero bene le autentiche verità bibliche. Riguardo ai loro scritti, The New Encyclopoedia Britannica dice: "Da un punto di vista storico, gli scritti dei Padri Apostolici hanno più valore di tutta l'altra letteratura cristiana al di fuori del Nuovo Testamento". A titolo rappresentativo, iniziamo col leggere le dichiarazioni trinitarie di uno dei due tra i Padri Apostolici citati. E quindi partiamo da Clemente, che viene indicato in Filippesi 4:3, come collaboratore dell’Apostolo Paolo. Ebbene, nella sua opera Ad Corinthios, egli scrisse: “Dovremmo pensare a Gesù Cristo come a Dio, come al giudice dei vivi e dei morti”. Ciò conferma la Scrittura di Tito 2:13 già precedentemente menzionata, la quale in relazione alla seconda venuta del Messia, dice: “…aspettando la beata speranza e l'apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù”.

8. Un altro importante Padre Apostolico è Ignazio, pastore della Chiesa di Antiochia, il quale si converti grazie alla testimonianza dell’apostolo Giovanni. E a tal riguardo, sappiamo che nel cristianesimo dell’Asia Minore, Ignazio non fu l’unico a conoscere il vangelo tramite la missione del discepolo di Gesù, più intimo e longevo. Verso l’anno 100 d.C., e cioè nello stesso periodo della stesura del quarto vangelo e dell’Apocalisse (opere giovannee), Ignazio nell’opera Ad Ephesios, scrisse: “Infatti il nostro Dio, Gesù il Cristo, fu portato nel seno di Maria”. In un’altra occasione, pregando i cristiani di Roma di non impedire il suo imminente martirio, egli vergò una lettera dal titolo Ad Romanos, indirizzata ai cristiani della città capitolina. In tale missiva, riferendosi al Cristo in croce, implorava: “Permettetemi di essere imitatore della passione del mio Dio!”. Un altro esempio, è costituito dallo scritto intitolato Didachè, di cui abbiamo già detto nelle precedenti pagine. Noto anche come “Dottrina dei dodici apostoli”, in effetti risulta essere il più antico testo di pratica cristiana, poiché venne redatto tra il 70 e il 90 d.C., e cioè in contemporanea con la stesura canonica del Nuovo Testamento. Per sostenere che la credenza nella Trinità, e nello specifico nella divinità di Cristo, nascano dalla Bibbia, sarà interessante fare attenzione ad un passaggio di quest’opera, in cui viene espresso un riferimento circa la seconda venuta di Gesù, attraverso la citazione di Zaccaria 14:5, che dice: “il Signore, mio Dio, verrà e tutti i Suoi santi con Lui”. Quindi nel descrivere il ritorno di Cristo, anche la Didachè identifica il Messia con la persona del Creatore dei cieli e della terra.

In conclusione, abbiamo compreso come la Bibbia, ispirata ed infallibile, assieme alle testimonianze della generazione cristiana successiva agli apostoli, dichiarino la Trinità come verità di fede. Questa è l’essenza di Dio, questo è Dio. Un Dio che ti ha cercato e ti sta invitando a credere il lui, facendo la sua volontà nel servirlo.

DOTTRINE CATTOLICHE IN CONTRASTO CON LA BIBBIA SVILUPPATE A PARTIRE DAL III SECOLO DELL’ERA CRISTIANA

Al termine della lettura del Piano di salvezza che conduce alla vita eterna, ti propongo di riflettere circa la tua attuale religione di appartenenza. Le sue credenze o suoi dogmi, sono basati sulla Bibbia? In merito a ciò, si può ritenere che i suoi insegnamenti siano fondati sulla Parola di Dio, oppure sono in netto contrasto con essa? Voglio proporti di seguito, una serie di informazioni didascaliche, da approfondire in altra occasione, a dimostrazione di come il cattolicesimo sia distante dalla verità del cristianesimo originario, in quanto alla Sacra Scrittura. Spero che tu possa riflettere ed infine comprendere che “In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (Atti 4:12).

BATTESIMO DEI BAMBINI: usanza accettata a partire dall’anno 250.

CONSOLIDAMENTO DEL PAPATO: tra il 440 e il 461, Leone I Magno sarà il primo ad essere chiamato papa.

PREGHIERA PER I MORTI (MESSE DI SUFFRAGIO): tale pratica si sviluppa verso il 310 circa.

ADORAZIONE DEI SANTI E DEGLI ANGELI: forma di idolatria che si sviluppa verso il 375 circa.

IL CULTO DELLA MADONNA: questo tipo di adorazione mariana, ha inizio ufficialmente il 431.

LA DOTTRINA DEL PURGATORIO: essa comincia ad essere oggetto di dottrina verso il 593.

L’ADORAZIONE DELLE IMMAGINI E RELIQUIE: come devozione di popolo, viene accettata nel 788.

LA CANONIZZAZIONE DEI SANTI: ha inizio intorno al 995.

IL CELIBATO DEI PRETI: venne stabilito da papa Gregorio VII nel 1079.

LA CONFESSIONE AL PRETE: fu ufficialmente istituita nel 1215.

I 7 SACRAMENTI: vennero definiti nel 1439.

RICORRENZA DELL’ ONOMASTICO: nasce nel Medioevo, per festeggiare le persone il cui   nome coincide con quello del santo

L’IMMACOLATA CONCEZIONE: costituisce un dogma definito nel 1854.

L’INFALLIBILITA’ DEL PAPA: dogma proclamato nel 1870.

MARIA ASSUNTA IN CIELO ANIMA E CORPO: dogma stabilito nel 1950.

 I cristiani evangelici, fedeli all'insegnamento della Scrittura, credono:

-IN GESU’ CRISTO, crocifisso e risorto per la nostra salvezza (Giovanni 3:16).

-ANNUNZIANO CRISTO, unica sorgente di salvezza, luce e vita eterna (Atti 16:31).

-RIMANGONO FEDELI ALLA SCRITTURA, non togliendo, non aggiungendo alla Bibbia (Ap. 22:18).

Per approfondire gli enunciati di cui in precedenza, viene consigliata la lettura di “La Chiesa Cattolica Romana allo specchio” del professore Jacques Blocher, pubblicato dalle Edizioni Centro Biblico.

 

                                                                       Luigi Pecora